A dieci anni dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini (Torino 1927 – Gallarate 2012), che ricorre il prossimo 31 agosto, di lui restano il ricordo di un protagonista indiscusso della storia della Chiesa italiana degli ultimi quarant’anni, l’eredità della sua intensissima attività di raffinato teologo e insigne biblista, la memoria della sua figura carismatica di vescovo che aveva scelto il dialogo quale strumento per l’azione pastorale. Ma il nome del cardinale Martini – gesuita, Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002 – rimane anche legato a una delle pagine più significative della storia d’Italia: risale a 38 anni fa e fu il gesto eclatante deciso dai terroristi rossi per indicare la fine definitiva della lotta armata nel Paese.
Era il 13 giugno 1984: nell’Arcivescovado di Milano uno sconosciuto si presentò all’allora segretario del cardinale Martini, don Paolo Cortesi, e, mentre questi era al telefono, abbandonò su un tavolo tre borse, contenenti due fucili kalashnikov con caricatore, un fucile beretta, un moschetto automatico, tre pistole, un razzo per bazooka, quattro bombe a mano, due caricatori e centoquaranta proiettili. Era l’arsenale dei “Comitati Comunisti Rivoluzionari”, gruppo terroristico di sinistra, ritenuto contiguo alle Brigate Rosse, che nella seconda metà degli anni settanta aveva firmato alcune eclatanti azioni di sangue. L’arsenale fu consegnato al cardinal Martini, figura carismatica a Milano, a significare la resa dei terroristi, ma anche per sollecitare una mediazione della Chiesa per una “riconciliazione umana, sociale e politica”. L’uomo non proferì parola e andò via. Il cardinale Martini, informato dal segretario, chiamò le autorità, e le armi furono prese in consegna dalla polizia. Il cardinale scelse il silenzio su quel gesto emblematico degli ormai ex terroristi, ed il fatto emerse solo alcuni giorni dopo durante un processo a circa 200 imputati, molti dei quali accusati di banda armata. Tra questi Ernesto Balducchi, che il 27 maggio 1984, dal carcere di San Vittore, aveva inviato al cardinale Martini una lettera per chiedere l’intervento della Chiesa in una sorta di mediazione per la ripresa del dialogo con lo Stato. Nel documento si diceva tra l’altro: “Noi vi affidiamo le nostre armi”. Si pensò a una consegna figurata.
L’episodio di quel 13 giugno, invece, diede concretezza a quel che era scritto nella lettera, alla quale l’Arcivescovo aveva risposto. Due giorni prima che si presentasse lo sconosciuto, descritto da don Cortesi come un giovane tra i 25 e i 30 anni, alto circa un metro e ottanta, lo stesso segretario del cardinale aveva ricevuto una telefonata da un anonimo il quale sosteneva di avere del materiale da consegnare all’Arcivescovo di Milano. Si pensò in quella circostanza che si trattasse di omaggi che solitamente venivano fatti al Cardinale. Quando la notizia della consegna delle armi da parte dei terroristi al cardinale Martini divenne pubblica, un portavoce dell’arcivescovado fornì una versione ufficiale: “La mattina del giorno 13 giugno si è presentato alla segreteria dell’Arcivescovo un uomo che ha consegnato tre borse per il cardinal Martini, andandosene immediatamente. Quando, in tempo successivo, le tre borse sono state aperte scoprendovi in esse delle armi, sono state subito avvisate le autorità competenti che hanno provveduto a farle ritirare dalla polizia”. “No, non ebbi paura”, raccontò alcuni anni dopo il cardinal Martini al giornalista Aldo Maria Valli, che ha riportato quel colloquio nel suo libro “Storia di un uomo”. “Quando portarono le borse con le armi – disse il cardinale – chiamai il prefetto. Arrivò e io dissi: bene, apriamo le borse. Lui restò inorridito ed esclamò: per carità, non tocchiamo niente! Una situazione curiosa. Temo che un po’ di paura l’ebbe invece il mio segretario di allora”.
Fonte Ansa.it