Una scossa come il docu-film annunciato sarebbe salutare, forse farebbe riflettere sul vero significato di una Mostra cinematografica nata 75 anni fa con obiettivi ben diversi dagli attuali, che un tempo era al servizio di un cinema-Arte
Fa tremare il parterre de rois della Mostra del Cinema di Venezia l’indiscrezione che un gruppo di piccoli produttori indipendenti, stanchi di essere discriminati dalle grandi produzioni internazionali favorite dalla Mostra, intende realizzare un docu-film sullo scandalo del Mose. I patron della Mostra, certo non direttamente coinvolti nelle turpitudini del Mose, ma tutti provenienti da una greppia di potere lagunare immutabile nel tempo e resistente a tutti i cambi di governo, sono dediti a trame e accordi con multinazionali globali che lanciano, attraverso il cinema, messaggi di marketing, anche politico, più o meno subliminare. Una specie di social del grande schermo con obiettivi di mercato o di politically correct che nulla hanno a che vedere con la qualità (basta poi andare a vedere i dati sull’affluenza di pubblico al cinema, soprattutto quelli relativi ai mediocri filmetti italiani coprodotti dalla Rai, spesso imbarazzanti “prove di non-artista” di “figli di”).
Una scossa come il docu-film annunciato sarebbe salutare, forse farebbe riflettere sul vero significato di una Mostra cinematografica nata 75 anni fa con obiettivi ben diversi dagli attuali, che ha fatto conoscere al mondo capolavori inarrivabili come quelli di Rossellini, Pasolini, Visconti, tanto per restare in Italia. Oppure, per restare in tema, autentiche denunce sociali come quelle di Francesco Rosi ne “Le mani sulla città” o “Il caso Mattei”. Quale noto produttore avrebbe oggi il coraggio di finanziare un film sul Mose o sull’impero dei Benetton? Verrebbe quanto meno bandito per l’eternità dalla nomenklatura della Mostra, attenta soprattutto ai rapporti con le centrali internazionali -legate alla finanza- che detengono il monopolio del cinema e della distribuzione.
Ci sono attori straordinari che sarebbero capaci di interpretare le mutrie inquietanti, familiari ai veneziani, e per qualcuno veri e propri incubi notturni, dei protagonisti del Mose: pensiamo a Roberto Herlitzka, Michael Douglas, Gérard Depardieu, Clint Eastwood, Carlo Verdone: sarebbe un perfetto vile e opportunista segretario di assessore (peccato che è troppo romanesco), e come lo vedete Proietti come imperturbabile governatore regionale (anche lui, ahimé, un po’ troppo romanesco)? E Sabrina Ferilli capo-segreteria e dark lady capace di ricattare chiunque e di incamerare tesori immensi senza fare un giorno di galera, dove la mettiamo?
Le chiappe al popolo di Georgina. Foto Sportmediaset
I piccoli produttori indipendenti sono stanchi della cupola che li esclude sistematicamente, e noi spettatori anche. Speriamo che lo facciano davvero, il film sul Mose, e pazienza se non troverà distribuzione. Verrà proiettato sulle piazze, e siamo sicuri che il pubblico accorrerà, anche in mancanza del lato B di Georgina Ronaldo e della riesumata Lady Gaga al di là dei cavalli di frisia che proteggono il red carpet del Lido dal popolo bue.