(ANSA) – ANCONA, 22 FEB – “Chiedo di morire in Italia, in
piena legalità”. Lo dice un 42enne, tetraplegico da 10 anni a
causa di un incidente stradale che gli ha procurato anche altre
patologie. L’uomo si è rivolto alla sua Area Vasta dell’Asur
(Azienda Sanitaria Unica Regionale) delle Marche. Ma
dall’azienda ha ricevuto un diniego, “senza che neppure fossero
state effettuate le verifiche sulle sue condizioni come previsto
dalla Corte Costituzionale”. E ora, assistito dall’associazione
Luca Coscioni, ha presentato ricorso contro l’azienda sanitaria
che non ha applicato la sentenza della Corte Costituzionale n.
242 del 2019 (quella sul cosiddetto “caso Cappato”), con
l’obiettivo di vedere riconosciuto il diritto ad ottenere aiuto
al suicidio senza che lo stesso costituisca reato ai sensi
dell’art. 580 cp. Mario (il nome è di fantasia) è tra i primi in
Italia, se non il primo in assoluto, a rivolgersi ad un
tribunale per chiedere l’applicazione della sentenza della
Consulta che, dopo la morte di Dj Fabo, “con valore di legge,
stabilisce dei passaggi specifici per tutti quei pazienti
affetti da patologie irreversibili che in determinate
condizioni, possono far richiesta di porre fine alle proprie
sofferenze, attraverso un iter tramite Servizio Sanitario
Nazionale” spiega l’Associazione Luca Coscioni. “Non ho più
niente della mia vita precedente – ha scritto Mario al Consiglio
generale dell’associazione – per me questa non è più vita, ma
pura sopravvivenza. Per questo ho fatto la richiesta di accesso
al suicidio assistito. E ho scelto di farlo in Italia, per poter
essere circondato dai miei affetti, fino alla fine”. Filomena
Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’Associazione Luca
Coscioni chiede l’intervento del ministro della Salute. Il
tesoriere Marco Cappato è prono a “portare avanti nuove
disobbedienze civili”. (ANSA).
Fonte Ansa.it