Il racconto – Fatiha, da qualche giorno, si era messa alla ricerca di una stanza a Imola per permettere ai suoi genitori di stare vicino al fratello, ricoverato da settimane. Per via dello stop alle visite per coronavirus, infatti, non lo vedevano da un po’. E così, facendo varie telefonate ai contatti consigliati dalla clinica, aveva finalmente trovato la stanza, tra l’altro abbastanza vicina alla struttura. O così sembrava. “La donna con cui ho parlato, la proprietaria – racconta – era stata molto gentile, cordiale”. Tutto normale fino a venerdì pomeriggio, quando Fatiha e la famiglia – i genitori e il fratellino – sono arrivati a destinazione dopo un viaggio di 8 ore da Caserta, convinti di poter lasciare i bagagli e raggiungere subito l’ospedale.
Il dietrofront – “Appena ci hanno visto, i proprietari ci hanno osservato in modo strano. Parlavano a bassa voce, si guardavano. Quando mi sono avvicinata per presentarmi, la signora (senza neanche salutare e con un sorriso un po’ sarcastico) ha detto: ‘Allora non siete di Napoli’ (per sintetizzare, non avevo, infatti, specificato di essere di Caserta, ero stata generica). E io le ho risposto: ‘In che senso?’ E lei: ‘Al telefono non mi aveva detto che non siete italiani, siete stranieri, noi evitiamo di affittare agli stranieri’. A quel punto ho detto: ‘Ho capito che sono di origini straniere, però non penso questo sia un buon motivo per creare dei problemi sull’affitto di una camera’. Ma lei insisteva: ‘Poi siete in tanti, no, non è possibile affittare la stanza’. Mio padre le ha anche proposto di far restare almeno mia mamma e il mio fratellino, ma non c’è stato verso. Io continuavo a dirle: ‘Signora, ma si rende conto che noi siamo venuti fin qui convinti di avere un alloggio sicuro? Per fortuna che siamo venuti con la macchina e non con il treno, altrimenti sarebbe stata una tragedia, sotto quei 30 gradi al sole cocente, e con il bambino poi”, racconta la ragazza.
“Abbiamo fatto chilometri e chilometri per arrivare a destinazione e non hanno avuto un minimo di umanità. La donna si è posta proprio male fin dall’inizio. Neanche il tempo di vederci cha ha subito cambiato atteggiamento. La signora cordiale e gentile del telefono è scomparsa, nonostante sapesse benissimo il motivo per cui ci siamo recati a Imola e, quindi, conoscesse la serietà della questione”, aggiunge Fatiha.
La questione alloggio – Dunque, la ragazza si è ritrovata a dover gestire la questione alloggio. “Panico. ‘E ora dove andiamo?’ – pensavo -. Ma sto sognando? Non può essere vero, non ci posso credere. Siamo venuti con l’idea che i miei genitori sarebbero rimasti come minimo per un mese, ma tutti i piani sembravano stravolti. Oltre alla sensazione di sconforto, di umiliazione, e alla discriminazione subita, mi rendevo conto di avere un problema serio da risolvere”.
La reazione di Fatiha – “E’ tutto così assurdo e inconcepibile, come le storie di discriminazione che mi capita di leggere. Mai avrei pensato di diventarne la protagonista. E’ la prima volta che mi trovo in prima persona in una situazione del genere, cioè che mi venga negato un qualcosa per via delle mie origini straniere. In tutti questi anni non ho mai avuto problemi”.
Per fortuna, però, alla fine si è risolto tutto: un ragazzo siciliano, che a sua volta affittava una stanza e che Fatiha ha chiamato subito dopo la discussione in questione, ha dato subito la disponibilità. “E’ stato un angelo. Tutto è bene quel che finisce bene”, dice la giovane infermiera, che ha comunque intenzione di sporgere denuncia.
“Solo adesso, a distanza di qualche giorno, riesco a parlare dell’episodio. Prima no. Ero arrabbiata e mi sentivo impotente. Dopo che abbiamo trovato una soluzione per l’alloggio, ho deciso di scrivere un post di denuncia su Facebook. Ho ricevuto tanta solidarietà e devo dire che mi ha veramente fatto piacere. Ho voluto denunciare questo episodio affinché non si ripetano fatti simili, partendo da quella stessa casa”, conclude.
Fonte Tgcom24