La metà circa delle aggressioni al personale sanitario, secondo l’INAIL, è verso gli infermieri: circa 5.000 ogni anno, 13-14 al giorno. E nel 58% dei casi si è trattato di un’aggressione fisica.
E il 78% degli infermieri – in tutto oltre 456.000 – sono donne e per questo, quelle che hanno subito un’aggressione in base alle percentuali sono finora in tutto oltre 180mila e per 100mila si è trattato di un’aggressione fisica.
“La prevenzione degli episodi di violenza sugli operatori sanitari – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) al Convegno sulla ‘prevenzione degli episodi di violenza contro le lavoratrici della sanità’, organizzato dal ministero della Salute – richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e attui le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi, incoraggi il personale a segnalare subito gli episodi e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri oggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie per eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari. Solo l’impegno comune può migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro”.
FNOPI è passata all’azione e dal primo dicembre 2020, grazie al co-finanziamento della Federazione, è stato avviato lo studio nazionale multicentrico sugli episodi di violenza rivolti agli infermieri italiani sul posto di lavoro (ViolenCE AgainSt nursEs In The workplace CEASE-IT), da cui tra le altre informazioni è emerso che l’area maggiormente colpita dagli episodi di violenza è l’area medica e che Il 24.8% degli infermieri che ha segnalato di aver subito violenza negli ultimi 12 mesi, riporta un danno fisico o psicologico causato dall’evento, di questi il 96.3% riferisce che il danno era a livello psicologico.
“Ottenere dati in questo senso – aggiunge Mangiacavalli – e identificarne i fattori predittivi è un passaggio essenziale per aumentarne la consapevolezza e la conoscenza negli stakeholder per attuare interventi di prevenzione e di contenimento che garantiscano una maggiore tutela e sicurezza degli operatori sanitari all’interno del luogo di lavoro”.
Le cause del fenomeno sono multifattoriali e includono: personale ridotto, elevato carico di lavoro, tipologia di pazienti.
I principali fattori di rischio sono negli atteggiamenti negativi dei pazienti verso gli operatori, nelle aspettative dei familiari e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza, che risultano in grado di sviluppare danni fisici, ma anche disturbi psichici, negli operatori che subiscono violenza.
“La violenza verbale e fisica sugli operatori sanitari – spiega la presidente FNOPI – e in particolare sugli infermieri, è un dato in crescita e continuamente presente anche in questo periodo di pandemia. L’impatto negativo che questo fenomeno può avere sulla sicurezza, sull’efficacia dell’assistenza e sulla salute fisica ed emotiva degli operatori rendono necessari studi per comprendere a fondo tutti i fattori che intervengono: personali, collegati al gruppo di lavoro, alle caratteristiche delle strutture, alle risorse e all’ambiente di lavoro”.
“E’ importante aggiunge – che si preveda accanto alle pene per le aggressioni anche una formazione degli operatori, obbligatoria e mirata, e fin dal percorso di laurea (la FNOPI in questo senso ha già organizzato due corsi di educazione continua, ECM, a cui hanno partecipato oltre il 90% degli infermieri) sugli aspetti della comunicazione, di adeguate tecniche di de-escalation e della relazione terapeutica nei confronti delle persone assistite e che le infermiere sappiano cogliere tutti i segnali premonitori di un atto di violenza, sappiano come mitigare e contenere la loro evoluzione, come proteggersi preventivamente e possano comunicare con fermezza agli utenti, agli accompagnatori e al personale che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati”.
“Certo – afferma Mangiacavalli – si dovrebbero prevedere pene anche più severe per chi aggredisce verbalmente e fisicamente un professionista sanitario donna sul luogo di lavoro, prevedendo l’aggravante del pericolo che nell’azione possono correre gli assistiti.
Ma si devono anche prevenire le aggressioni regolamentando ad esempio l’uso dei social nei luoghi di lavoro, di cui proprio in questo periodo di pandemia abbiamo visto gli effetti, rispetto all’attività professionale per evitare commenti, furti di identità e proposte inappropriate: ne sono vittima circa il 12% dei professionisti e di questi il 78% sono infermiere e in alcune Regioni si supera anche il 90 per cento”.