Sulla carta dovrebbero durare quattro mesi davanti alle Sezioni specializzate dei tribunali e 6 mesi davanti alla Cassazione, secondo quanto ha stabilito una legge introdotta quattro anni fa per far fronte all’aumento vertiginoso nel 2016 (+ 200%) dei procedimenti per il riconoscimento dello status di rifugiato e al conseguente accumulo di pendenze. La realtà è però distantissima: la durata di questi procedimenti “è attualmente di circa dieci volte superiore al termine di legge”. E ciò rende “irragionevole” il termine molto breve (30 giorni) per impugnare il rigetto della richiesta di protezione internazionale. A certificarlo è il Csm sulla base dell’analisi delle statistiche degli uffici giudiziari.
Il Csm aveva fatto la sua parte nel 2017, chiedendo con una risoluzione agli uffici giudiziari di assicurare priorità alla trattazione dei ricorsi in materia di protezione internazionale, anche rallentando altri procedimenti, di fornire risorse sufficienti alle Sezioni specializzate e di adottare misure straordinarie per eliminare l’arretrato. Ma il bilancio è sconfortante: nella maggior parte degli uffici giudiziari quei criteri “non hanno consentito o comunque non sono stati attuati in modo da assicurare effettivamente prioritaria trattazione dei procedimenti e congruo dimensionamento delle sezioni”. E a rivelarlo sono i dati. Nel quinquennio 2016-2020, i tribunali hanno ricevuto 247.744 contenziosi nella materia dell’immigrazione e protezione internazionale definendone 164.395. Ogni anno sono giunti mediamente 49.549 nuovi procedimenti mentre quelli definiti sono stati, sempre in media, 32.879. Il che vuol dire che i Tribunali hanno alimentato l’arretrato, in ogni anno del quinquennio, con una media di 16.606 fascicoli. E non è tutto: l’arretrato complessivamente accumulato dai tribunali (pari a 50mila procedimenti a fine 2016, cifra che aveva spinto il legislatore a intervenire) non solo non è stato intaccato ma è lievitato alla fine del 2020 a circa 100mila fascicoli pendenti.
Fonte Ansa.it