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Il calo demografico sta svuotando le scuole italiane 

calo demografico 

AGF

Scuola, studenti 

Non solo un Paese bloccato nella crescita, con un Pil in caduta libera. Ma anche a forte denatalità. Lo si evince dai dati sulle nuove iscrizioni al prossimo anno scolastico, 2019-2020, che comincia a partire dal mese di settembre. La notizia occupa il centro della prima pagina de La Stampa, sotto un titolo allarmante: “Si svuotano le scuole. Mancano 70 mila alunni”. E facendo un po’ di calcoli, il succo è che “dal 2015 sono stati persi 188 mila alunni”.

Il motivo principale è che “il calo demografico desertifica le aule” ma ora si teme anche per l’assetto generale della scuola, a partire dagli insegnanti, che potrebbero diminuire in proporzione e per i quali si chiedono garanzie al governo. Tanto più che proprio domani sera alle ore 19 nella sede del Miur è previsto un incontro tra il ministro dell’istruzione Bussetti e i sindacati, che si troveranno dinanzi un quadro tutt’altro che incoraggiante. Proprio quando si invoca maggiore istruzione e qualificazione scolastica per le giovani generazioni messe dinanzi alla dura prova delle sfide future.

Le tabelle sulle iscrizioni parlano chiaro: “Al prossimo anno si sono iscritti 69.256 studentesse e studenti in meno, un calo dello 0,9% che assume dimensioni diverse se si considera l’andamento degli ultimi tre anni, in diminuzione costante e crescente. Oltre 45mila in meno nel 2016/17 rispetto all’anno precedente. Altri 67.754 in meno nell’anno successivo e 75.215 quest’anno scolastico rispetto al precedente. In totale si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo del 2,4%”. Una decrescita preoccupante, che però il ministro Bussetti sembra minimizzare in quanto “è il frutto del normale andamento demografico che risente dei periodi di crisi economica e poi si riflette sulla popolazione scolastica. Alla luce di questo, stiamo valutando di aprire un dialogo per rivedere i parametri sulle autonomie scolastiche in maniera più tarata sul territorio”.

Se andiamo a vedere i dati regionali, il calo è più evidente al Sud e un po’ minore al Nord. Con una regione virtuosa, l’Emilia Romagna “che a settembre porterà 1.484 alunne e alunni in più nelle aule” e un fanalino di coda rappresentato dalla Basilicata “dove da settembre entreranno nelle aule 1742 studentesse e studenti in meno, un calo del 2,23%”. I dati regionali sono ancora più consistenti e deprimenti, con un indice di “desertificazione scolastica” impressionante, specie al Sud. “Il calo degli iscritti al prossimo anno è un indice di sconfitta per tutti e, in particolare, per un governo che sostiene di voler aiutare le famiglie” chiosa il quotidiano.

I dati della decrescita nelle iscrizioni scolastiche, potrebbe avere degli effetti negativi anche sulla popolazione insegnante. E il ministro dovrà valutare attentamente i dati “per decidere l’organico del prossimo anno, che i rappresentanti dei lavoratori temono di vedere ridimensionato”. Un tema, dunque, di enorme impatto sociale per l’Italia. “Incontreremo il ministro e speriamo che il governo colga l’occasione per mantenere il finanziamento allo stesso livello di quest’anno in modo da permettere alla scuola di rifinanziarsi e agli insegnanti di mantenere il livello di retribuzione. Siamo all’ultimo posto nel livello dei salari tra i Paesi Ue e il governo ha il coraggio di proporci l’autonomia differenziata, che non è altro che un modo per realizzare ulteriori risparmi” dichiara a La Stampa Pino Turi, segretario generale Uil Scuola.

E se nel calo della popolazione scolastica, “prevedibile e previsto”, “a soffrirne sono dapprima la scuola dell’infanzia e la primaria, poi le secondarie e in una prospettiva più lunga anche l’università” sulle stesse colonne Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, scrive che “sarebbe miope concentrarsi solo sugli effetti scolastici del declino demografico; lo scambio tra quantità (dei giovani) e qualità (della loro istruzione) è sostenibile solo entro certi limiti: con le aule vuote, che senso ha continuare a investire nella scuola?” si chiede. Soluzione? “I paesi europei che sono riusciti a mantenere a livelli soddisfacenti i loro trend demografici – scrive Gavosto – lo hanno fatto con un mix di tre leve: politiche fiscali più amichevoli nei confronti delle famiglie con figli; servizi per l’infanzia accessibili e di qualità; politiche dell’immigrazione più o meno selettive, attente ad attrarre e a coltivare le giovani generazioni istruite. In Italia le tre leve sono bloccate: in particolare, sulle politiche migratorie si sta andando in direzione opposta, privilegiando scelte muscolari di chiusura, senza comprendere che i giovani immigrati possono essere una risorsa fondamentale per lo sviluppo del Paese”. Come nel Monopoli bisognerebbe ripartire dal “via”.

Nell’incontro di domani al Miur i sindacati chiederanno garanzie per gli insegnanti e per l’intero sistema. In caso contrario, è “già proclamato lo sciopero generale il 17 maggio, dieci giorni prima delle elezioni europee” anno il quotidiano torinese.

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