Per fortuna non ci sono solo preti che svelenano dall’altare incitando all’odio per chi non accetta una immigrazione indiscriminata. Con senso di carità e parole pacate monsignor Antonio Suetta affronta ragionevolmente il problema. E accoglie davvero
Da liberoquotidiano.it
Anche per Matteo Salvini giunge ogni tanto una consolazione che gli fa dire: «Meno male che nella Chiesa c’ è qualcuno che ci difende». Il ministro dell’ Interno è sollevato perché ha appena letto la risposta di monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia San Remo, ai 600 firmatari dell’ appello clerical-immigrazionista rivolto alla Conferenza episcopale italiana.
Lui scrive da una diocesi di frontiera, per non dire di prima linea, che da anni ha destinato una parte del seminario ai richiedenti asilo, che ospita fra i seminaristi della diocesi un nigeriano con tanto di asilo politico. E, proprio in virtù di quell’ esperienza, ritiene che «il futuro dell’ Europa non possa o non debba rischiare di andare verso una sostituzione etnica, involontaria o meno che sia».
Basterebbe molto meno per far saltare tutti i luoghi comuni ecclesialmente corretti, per primo l’identificazione della Chiesa cattolica «con una qualsiasi delle ONG che si attivano per il trasporto dei migranti nel Mediterraneo». Non ha mica dimenticato di scrivere «per il soccorso». Evidentemente, intendeva proprio «per il trasporto».
Anziché la talare, tanti preti e vescovi indossano la maglietta rossa. Ma monsignor Suetta, mentre afferma «con Papa Francesco il dovere dell’ accoglienza di chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave emergenza», li invita a compiere il passo successivo, sempre nell’ ottica della carità e ricorda loro che «occorre anche impegnarsi, forse più di quanto non sia stato fatto, per garantire ai popoli la possibilità di “non emigrare“, di vivere nella propria terra e di offrire là dove si è nati il proprio contributo al miglioramento sociale».
Pericolo Islam – Se avesse semplificato troppo, utilizzando la formula «aiutiamoli a casa loro», lo avrebbero messo all’ indice. Invece, per tutte le cinque pagine del suo scritto, utilizza un linguaggio inattaccabile, anche quando affronta «il difficile tema dell’ immigrazione islamica, che pone un grave problema di integrazione con la nostra cultura occidentale e cristiana». Affermazioni sufficienti a far intorcinare fino allo spasmo le budella cattocomuniste, ma sostenute dalle parole dei vescovi egiziani e nigeriani, cioè coloro che vorrebbero certamente il dialogo con i musulmani, salvo subirne loro malgrado la persecuzione violenta.
Vite da salvare – Appena un’ ora più tardi, dal fronte della Cei affiora una nota piuttosto lieve, nel senso che elude gli interrogativi dell’ appello anti-Salvini ed evita accuse dirette al governo, ma prende le distanze dall’«imbarbarimento», dalle «parole sprezzanti» e dagli «atteggiamenti aggressivi», per costruire «una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare».
I vescovi si sentono chiamati in causa dalla «storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace». dalla dolorosa vicenda delle morti nel Mediterraneo. Prendono spunto dalla storia di Josefa, la donna eritrea che è stata salvata dalla ong spagnola Open Arms dopo due giorni aggrappata in balia delle onde, ripensano agli «occhi sbarrati e allo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’ abisso che ha inghiottito altre vite umane», ai soccorritori che hanno trovato lei e il corpo senza vita di una donna e del suo bambino. Si sentono «responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture».
Dal Viminale, contro la tratta degli esseri umani di cui non vuole essere complice, Salvini ribadisce la linea della fermezza: «Il nostro obiettivo è salvare più vite possibili, facendo partire meno gente possibile, ma non riapriremo assolutamente i porti».
Il vescovo di Ventimiglia, al telefono con Libero, non coglie una differenza fra la sensibilità dei confratelli nell’ episcopato e la sua «riflessione che va un poco oltre». Nessuna polemica, quindi. Mons. Suetta si chiede soltanto se «tutte le persone che sostengono un’ accoglienza senza limiti, senza numeri, siano animate da solidarietà o da un’ idea di società o di futuro diversa dalla mia».