Troppe scivolate sul Ponte di Calatrava a Venezia inaugurato nel 2008. E troppe cause al Comune per risarcimenti fratture alle ossa. Si decide così di sostituire otto lastre di vetro con la pietra di trachite. Un ponte costato il doppio del previsto
Anche il ponte di Calatrava è un esempio del delirio di onnipotenza delle archistar globali, che applicano il loro modulo fisso ovunque, senza tener conto del territorio, del microclima, delle interazioni con flora e fauna autoctone e, soprattutto, dei fruitori della loro opera. A decine, veneziani e turisti sono scivolati o inciampati sul ponte dell’archistar ispano (di origine)- svizzera (di fiscal-drag). Calatrava annunciò con orgoglio che la trasparenza dei gradini “colorava” il ponte della stessa tonalità dell’acqua sottostante. Peccato che un ponte nasca prima di tutto dall’esigenza di non finire in acqua, e poi di non cadere sui gradini i cui contorni non si riescono più distinguere. Senza parlare dei materiali usati, corrosi dal guano dei piccioni, che, come anche un turista cingalese sa benissimo, a Venezia imperversano.
Il grandissimo Russell Page, progettista di giardini meravigliosi, tra cui quelli delle dimore della famiglia Agnelli, stabiliva per contratto di risiedere per almeno un anno nel luogo dove avrebbe dovuto operare, allo scopo di studiare, nel corso delle stagioni, il clima, l’evoluzione della flora, la composizione geologica del suolo, la fauna che poteva interagire con fiori ed essenze. Ma i giardini di Page resteranno, i moduli fissi ed effimeri di Calatrava, buoni per tutte le longitudini e latitudini, chissà.
I ponti vecchi a Venezia, almeno per ora, resistono. Quelli nuovi, invece, costano cari (anche il doppio rispetto al preventivo originario) e come si dice nella città lagunare a pagare è “Pantalon” ovvero il cittadino. Vi raccontiamo la triste storia tutta veneziana ma anche italiana, visto che Venezia registra in un anno fino a trenta milioni di presenze, del ponte della Costituzione, meglio conosciuto come il ponte di Calatrava (il nome dell’architetto che purtroppo l’ha progettato) ma che potrebbe tranquillamente chiamarsi “Ponte delle cadute, degli scivoloni o degli infortuni” se preferite. Ma per raccontare questa storia così “cara” per le tasche dei cittadini bisogna partire dalla fine. Il ponte di Calatrava collega piazzale Roma con la stazione ferroviaria ed è costruito in acciaio, vetro e pietra. Da quando è percorribile, dal 2008, è passato alla storia per le cadute e la scivolosità a causa dei suoi gradini in vetro e per il “doppio passo”, per cui ogni anno numerosi cittadini con fratture alle ossa fanno causa al Comune e sono già in cinquemila (niente male). Ma il Comune è corso ai ripari. In questi giorni ha deciso di sostituire otto doppio lastre in vetro con lastre in trachite. Le “scivolate” sono all’ordine del giorno. Con la pioggia e con la neve meglio invocare l’aiuto di qualcuno “Lassù”. E la giunta prova a metterci una toppa. Ma l’archistar Calatrava non è nuovo a queste “imprese”, infatti una simile ne ha portata a termine anche a Bilbao dove le gente anche nella città a nord della Spagna volava che era un piacere. Con tutta probabilità, bisogna anche essere un po’ sospettosi, l’archistar spagnolo vede le città come un circo…I dubbi sulla praticità del manufatto erano sorte una settimana dopo il giorno dell’inaugurazione, 11 settembre 2008, davanti all’ex presidente della Repubblica “King” Giorgio Napolitano. Quando questa “specie” di architetto ebbe a precisare: “Ma si tratta evidentemente di una questione che appartiene al settore percettivo e che ha, pertanto, carattere,del tutto soggettivo”. Scusi sior Calatrava ma le cadute quotidiane e i 70 mila euro spesi dal Comune per la manutenzione ogni anno della sua opera “killer” sono fattori soggettivi? O incidono sulle tasche dei soggetti? In questo caso dei veneziani?
Altro capitolo doloroso, i numeri. Del quarto ponte sul Canal Grande si iniziò a parlare già nel 1996: l’approvazione definitiva del progetto da parte del Comune di Venezia arrivò nel 2001 e servirono altri sette anni perché la struttura venisse realizzata: il ponte di Calatrava – in acciaio, vetro e pietra – doveva essere costruito in 456 giorni, ma ne servirono 2.052; secondo i calcoli del progetto esecutivo doveva costare 6,7 milioni e ne costò invece 11,6. E sulla questione tacque sempre l’allora sindaco kommunista poi democristianizzatosi Massimo Cacciari. Non tacquero però le opposizioni che con Raffaele Speranzon e Piero Bortoluzzi (scomparso pochi mesi fa) entrambi di An organizzarono una battaglia contro un’opera venuta a costare il doppio del progetto originale. Ma Calatrava è un po’ come il lupo che “perde il pelo ma non il vizio”. Non è la prima volta infatti supera per i suoi progetti il budget iniziale previsto. A Valencia in Spagna, dove l’architetto è nato, ha costruito – con una spesa prevista di 300 milioni di euro – la Ciutat de les Arts i les Ciències (la Città delle Arti e delle Scienze): un complesso mastodontico su una superficie di 350 mila metri quadri, che comprende al suo interno un planetario, una sala conferenze, un ponte, un teatro dell’opera, un museo della scienza e che costituisce la sua opera più grande realizzata finora. Durante la costruzione, durata 21 anni, il budget iniziale è però triplicato, creando alla Comunità Autonoma Valenciana che aveva commissionato l’opera nel 1996 un debito di oltre 700 milioni di euro. Scusate se ci viene un dubbio: non si poteva chiamare un certo Renzo Piano che tutto il mondo ci invidia? A proposito auguriamoci, per il bene del prossimo, che il nuovo ponte di Genova non venga progettato da Calatrava. Altrimenti sai che scivoloni? E se al ministro Toninelli che in questi giorni ha detto di essere stressato dal troppo lavoro, dovessero venire certe strane idee meglio se le faccia passare. Un altro Calatrava in un’altra città di mare, MAI.
Foto sotto: l’archistar Santiago Calatrava il “Re” dei ponti a “scivolo” (cladglobal.com)