Elevare la qualità delle cure, in primis guardando alle necessità dei soggetti più fragili, complice anche il costante invecchiamento delle popolazioni nei Paesi più sviluppati, può e deve seguire un’unica e sola strada maestra: ovvero aumentare, con strategie mirate, il numero dei professionisti sanitari nel mondo, offrendo loro, prima di tutto, una degna valorizzazione economica e contrattuale.
Occorre, poi, garantire ricambi generazionali, formazione, e organizzazioni degne di tal nome, al fine di metterli nella condizione di esercitare al meglio le proprie elevate competenze.
I più autorevoli report mondiali ci dicono chiaramente che, più di qualsiasi altra figura, nell’ambito delle realtà sanitarie, in continua evoluzione, del nostro Pianeta, a mancare all’appello sono gli infermieri, perno per una indispensabile copertura sanitaria universale .
Secondo i calcoli delle Nazioni Unite, nel dettagliato rapporto State of the World’s Nursing, ne mancherebbero oggi 6 milioni nel mondo, in particolare nelle nazioni più povere.
Per far fronte alla carenza, entro il 2030, in tutti i paesi, il numero totale di laureati infermieri dovrebbe aumentare in media dell’8% all’anno, insieme a una migliore capacità di assumere e trattenere questi laureati.
Senza questo aumento, che rappresenta una conditio sine qua non per uscire indenni dal labirinto della crisi, le tendenze attuali indicano che, di questo passo, deficit dopo deficit, saranno ben 34 milioni gli infermieri a mancare entro il 2030, con carenze principalmente concentrate nelle regioni africane, nel sud-est asiatico e nel Mediterraneo orientale.
La scadenza del 2023 è stata drammaticamente non rispettata!
Parliamo del Triple Billion Target, il tredicesimo programma generale di lavoro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (GPW13), che ruotava intorno a tre obiettivi da raggiungere lo scorso anno.
E ovviamente abbiamo miseramente fallito questo traguardo: occorreva, parliamo al passato, tutelare 1 miliardo di persone in più beneficiarie di copertura sanitaria universale; 1 miliardo di persone in più andava protetta dalle emergenze sanitarie; e 1 miliardo di persone in più che dovevano, ma così di fatto non è stato, migliorare il proprio stato di salute e benessere. Ebbene il 2023 è alle spalle e i numeri dicono che questo obiettivo non è stato raggiunto a pieno.
«Per questa ragione la strada che conduce al 2030 si fa ancora più impervia, commenta Antonio De Palma Presidente Nazionale del Nursing Up, visto che ci portiamo sulle spalle “il fardello” dei parametri non rispettati del passato, uniti ai nuovi a cui dover rispondere gioco forza.
Gli infermieri sono oggi il 60% della forza lavoro del sistema sanitario mondiale, un dato incontrovertibile e significativo come pochi: 27,9 milioni di professionisti, 4,7 milioni in più nel periodo 2013-2018 rispetto al quinquennio precedente.
Non sono assolutamente sufficienti, però, alla luce degli obiettivi che ci siamo fissati per il 2030, circa la copertura sanitaria universale, e non sono nemmeno ben distribuiti.
A pesare, più di qualsiasi altra carenza, oltre a quella degli organici, è l’enorme divario retributivo rispetto alla dirigenza medica. Noi del Nursing Up lo denunciamo da anni.
Sembra paradossale, ma è così: siamo i professionisti di cui il mondo sanitario ha numericamente più bisogno, dalle cui competenze dipende, come un sottilissimo ago della bilancia, l’equilibrio della sanità globale, ma navighiamo in un abisso di ingiustificate iniquità e sperequazioni a cui le politiche non hanno saputo e voluto porre alcun rimedio.
A tutto questo si aggiunge la scarsa tutela della nostra incolumità psico-fisica. Siamo sempre più soggetti a piaghe come turni massacranti e aggressioni.
Non è un caso che nel mondo ad ammalarsi di più, sul luogo di lavoro, nelle realtà sanitarie pubbliche, con una escalation di patologie fisiche e psichiche che poi di fatto inficiano la qualità della nostra attività sono più di tutti gli altri, gli infermieri», dice ancora De Palma.
Solo poco più di un terzo dei paesi (37%), secondo il report delle Nazioni Unite, ha segnalato concrete misure in atto per prevenire la violenza contro gli operatori sanitari. Solo 82 paesi su 115 (solo il 71%) hanno riferito di avere una posizione di leadership infermieristica nazionale con la responsabilità di fornire solidi contributi alla crescita della professione.
E in Italia? Il profilo dell’Italia dello State of the World’s Nursing parlava di 332.182 infermieri professionali nel 2017, il 47% di tutta la forza lavoro sanitaria, per un totale di una media di 12.117 nuovi laureati l’anno.
In Italia, oggi, rispetto ad allora, nel 2024, secondo i dati comunicati dal Ministero della Salute e dal conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, sono attivi 398.000 infermieri così composti: 279.837 sono dipendenti del Servizio sanitario nazionale a tempo indeterminato, a cui si aggiungono tra gli infermieri il 90% circa dei 638 dirigenti delle professioni sanitarie, per un totale di 280.411 unità dipendenti; – 21.746 sono a tempo determinato. Gli altri operano come dipendenti di strutture private e private accreditate o in altri enti (compresi gli infermieri militari). Gli infermieri liberi professionisti, titolari di partita iva sono 21.0032.
In parole povere in 7 anni abbiamo fatto registrare un aumento di poco più di 60mila infermieri, non si può certo definire un grande passo in avanti! I laureati, udite udite, sono tragicamente calati, arrivando ad una media oggi di 11.436, rispetto ai 12.117 del 2017.
Dati più dettagliati, e altrettanto poco confortanti, provengono dal Rapporto OASI di CERGAS-Bocconi, appoggiato ai dati Ocse. Nel 2017 in Italia si contavano 5,6 infermieri per 1.000 abitanti.
Oggi da noi siamo arrivati ad una media di 6.2 infermieri ogni 1000 abitanti. La nostra media è cresciuta? Si certo, ma intanto quella degli altri Paesi europei è salita a 8.8.
E’ chiaro che gli altri non sono rimasti certo a guardare e il GAP con le altre nazioni, in fatto di numero di infermieri, con i nostri organici sempre e costantemente ridotti all’osso, è addirittura aumentato, superando i due punti di media di differenza.
«Tra le 10 proposte delle Nazioni Unite ce ne sono in particolare due che mi preme sottolineare, più delle altre, come improrogabili per il benessere della collettività, obiettivo a cui tutti dobbiamo puntare, dice ancora De Palma.
Potenziare economicamente e contrattualmente il ruolo dell’infermiere nelle strutture di leadership e di governance sanitaria, anche con appositi programmi di istruzione: l’infermiere non può più essere soltanto un operatore, non lo è di fatto come titolo di studio e percorsi successivi di specializzazione di cui è sempre più protagonista, non lo è come competenze, non lo è come qualità umane, non lo è come elevate responsabilità a cui è capace di adempiere giorno dopo giorno.
E naturalmente occorre, in ogni luogo di cura che si rispetti, garantire lavoro dignitoso per gli infermieri: un ambiente favorevole e sicuro, con sforzi particolari dedicati agli infermieri che operano in ambienti fragili. La remunerazione dovrebbe essere sempre equa e adeguata per attrarre, trattenere e motivare gli infermieri», conclude De Palma.