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La battaglia legale sui manifesti anti-aborto a Milano

Un manifesto anti aborto riporta Milano indietro di 40 anni quando si sfidavano nelle piazze favorevoli e contrari all’abrogazione della legge 194 che consente l’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni, poi confermata dal referendum del 1981 promosso dai radicali. Proprio davanti alla clinica Mangiagalli,  dove ogni settimana una quarantina di donne va ad abortire e nascono decine di bambini, è stato affisso un cartello con un invito diretto a chi sta per entrare nello storico ospedale, da sempre in prima linea per i diritti declinati al femminile: ‘Non fermare il suo cuore. Avrà il tuo sguardo, il tuo sorriso e sarà coraggioso perché tu lo sei’. 

Sullo sfondo, l’immagine di una mamma con un neonato e un’ecografia che mostra un feto appoggiata sulla pancia. L’iniziativa è  firmata da due tra le associazioni più attive contro l’aborto, ‘Pro Vita‘ ed ‘Ora et Labora in difesa della vita’.

Quando Alessandra Kustermann, punto di riferimento da oltre 30 anni nella difesa della possibilità di rinunciare a un figlio e fondatrice del centro antiviolenza pubblico all’interno della clinica, ha alzato gli occhi e visto il manifesto, si è così indignata che ha deciso di raggruppare, domenica sera, una trentina di persone per oscurare il ritenuto affronto alle sue pazienti.  Due lenzuola e alcuni cartelli in cui viene ricordato che “la legge 194 è una legge di Stato” hanno fatto scomparire dalla vista il messaggio anti aborto.

Il lunedì mattina è arrivata la risposta di Giorgio Celsi, infermiere e presidente di ‘Ora et labora’: “Denunciamo alla Questura la dottoressa Kustermann per avere leso il diritto alla libera espressione al libero pensiero, lei che parla di libertà di scelta e non permette che sia data a una mamma la libertà di tenersi un bambino. Stiamo parlando di bambini uccisi in un momento in cui si parla di denatalià e crisi dell’economia. Stiamo uccidendo i futuri contribuenti e i futuri consumatori. Per ogni mamma che non abortisce, ci sono poi interessi persi da parte degli ospedali che ormai sono diventati delle aziende. C’è una legge che garantisce questo diritto? Che importa, ci sono state anche le leggi razziali, e che facciamo, le approviamo perché erano leggi?”. 

Alessandra Kustermann (Agf)

Kustermann, contattata dall’Agi, replica prima con ironia e poi con indignazione a Celsi. “Ho 65 anni, escludo che possa essere salita su una scaletta a coprire il manifesto. Scherzi a parte, mi assumo tutta la responsabilità morale della rimozione. Non è stato commesso nessun reato perché tutti siamo liberi di esprimere le nostre opinioni finché non lediamo la libertà individuale di un altro individuo., in questo caso quella, sancita da una legge di Stato, di chi sta andando ad abortire. Questo manifesto in qualsiasi altro posto, di fronte a una chiesa, al Palazzo di Giustizia, in metro, avrebbe fatto parte della libertà di espressione, ma qui no e nemmeno in altri ospedali della città dove si abortisce. Per questo deve essere rimosso. Come si permettono queste persone di giudicare chi va ad abortire? In 30 anni non ho mai pensato che una donna vada ad abortire per la propria felicità – prosegue la ginecologa, la prima donna a rivestire la carica di primario nella storia secolare della clinica – Chi lo fa, pensa all’infelicità di chi metterebbe al mondo e che non è in grado di accogliere alla vita. Non credo che questo manifesto c’entri con la religione. Mia madre era molto cattolica, ma votò a favore dell’aborto”.

Intanto, alcuni dei cartelli in sostegno della legge 94 sono stati strappati, si presume da attivisti dei movimenti ‘pro vita’.    

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