Con la pubblicazione di ieri da parte della società Autostrade del documento di convenzione con il Mit, che regola la gestione della rete autostradale, sono emersi i tanti regali che i governi degli ultimi dieci anni hanno fatto ai Benetton
È di ieri la notizia della pubblicazione da parte di Autostrade per l’Italia del testo della concessione sottoscritta con il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture per la gestione della rete autostradale italiana. Una novità positiva, anche se è molto probabile che se non ci fosse stata la tragedia del crollo del ponte Morandi, con le polemiche che ne sono seguite, non avremmo mai avuto la possibilità di consultare questo documento.
Che alla fine testimonia, come evidenziano molti quotidiani quest’oggi, quanto fosse redditizia e per certi versi ingiusta, da un punto di vista delle leggi economiche che regolano l’attività imprenditoriale, la concessione firmata dallo Stato. La Convenzione base, in particolare, è stata firmata il 12 ottobre del 2007, quando al governo c’era il centrosinistra guidato da Romano Prodi. Il primo atto aggiuntivo è del 24 dicembre del 2013, quando l’Esecutivo di larghe intese era guidato (sebbene ancora per poco) da Enrico Letta.
Uno dei dati più interessanti riguarda la percentuale estremamente conveniente dei rendimenti, il cui calcolo è fissato nel documento B della convenzione del 2013 in base agli investimenti: si legge che il cosiddetto tasso di remunerazione del capitale investito da Autostrade è pari al 10,21% che, al netto delle tasse, si riduce al 6,85%. “Un valore esorbitante – scrive Il Fatto Quotidiano – se si pensa che attualmente le banche offrono mutui a tasso fisso trentennale sotto al 2%”. Per dare un altro metro di paragone, secondo quanto segnalato ieri da Repubblica.it, dal 2000 a oggi il rendimento dei titoli di stato italiani non ha mai superato il 4,79%. Le ragioni della remunerazione del capitale investito sono presto dette: per fare gli investimenti sulla rete il gestore può chiedere finanziamenti esterni, per esempio alle banche, pagando un interesse per i prestiti ottenuti.
Non solo, aggiunge Paolo Annoni su Quotidiano.net, se “si prende a riferimento un costo del capitale di quasi il 9% (8,97%) prendendo a riferimento un anno, il 2012, in cui il decennale italiano rendeva il 5,5% mentre per tutto il periodo 2013-2017 si è avuto un rendimento medio inferiore al 3% (nel periodo 2008-2011 eravamo vicini al 4%); si considera un costo del debito del 7% mentre il costo di finanziamento di Atlantia è stato, per alcune emissioni, inferiore al 2%; si assume un rapporto tra mezzi propri e debito singolare visto che i nuovi investimenti vengono fatti a debito. In sostanza si determina un rendimento che è più del doppio di quello sarebbe potuto essere di mercato; se consideriamo però che l’attività è oggettivamente priva di rischio potremmo tranquillamente arrivare alla conclusione di un rendimento quasi triplo”.
Un valore, per altro, superiore a quello imposto dai limiti dell’Unione Europea. Tanto che l’ex ministro dei Trasporti Graziano Delrio aveva negoziato con Bruxelles una proroga al 2042 della concessione ad Autostrade con una percentuale di remunerazione del capitale per tutti i nuovi investimenti programmati tra il 4 e il 6% lordo. L’accordo prevede che le tariffe dei pedaggi non possano essere aumentate più dello 0,5% oltre l’inflazione, ma gli aumenti non sono mai stati inferiori all’1,5% oltre l’inflazione.
Insomma, dai documenti emerge come la convenzione sottoscritta con la società controllata dalla famiglia Benetton conceda un’eccessiva remunerazione degli investimenti a fronte di un rischio limitato, di fatto, ad un mero rischio “estremo” di crisi economica, calo del traffico o minori investimenti di quelli programmati, senza un vero rischio imprenditoriale. Emerge, inoltre, la mancanza di concorrenza che deriva dalla proroga senza gara, metodo valido anche per l’assegnazione dei lavori di manutenzione: la gran parte dei lavori di manutenzione ordinaria annuale, 262 milioni, è realizzato infatti “attraverso imprese esterne”, ma si tratta principalmente di affidamenti in house, cioè a società di proprietà della stessa Autostrade.