Torna in Ghana per aiutare la sua famiglia, con i soldi necessari a comprare cinque mucche. Per il resto, ha subito i disagi del campo profughi di Bagnoli (Pd) e un duro sfruttamento da chi ha approfittato del suo lavoro pagato 240 euro al mese
Leggo.it, Gabriele Pipia
Il viaggio d’andata è durato 24 mesi, ed è stato tutto tranne che un semplice viaggio. Prima l’attraversata del deserto, poi la drammatica esperienza del carcere libico, alla fine lo sbarco a Lampedusa e l’arrivo in una città – Padova – di cui lui nemmeno conosceva l’esistenza.
Il viaggio di ritorno, invece, è durato il tempo del tragitto in treno e poi di un volo aereo: da Padova a Roma e dalla capitale ad Accra, per mettere nuovamente piede in Ghana e dire addio al sogno italiano.
Amoako Kwadwo, 19 anni, dopo due anni ha deciso di tornare a casa. «Qui non era come mi aspettavo, e allora tanto vale tornare dalla mia famiglia e provare a costruirmi un futuro in Africa»: ai volontari che lo assistevano si è rivolto così, mescolando delusione e nostalgia.
«Noi lo abbiamo accompagnato in questa sua scelta, come abbiamo fatto con altri ragazzi racconta don Luca Favarin, presidente della onlus padovana Percorso Vita -. Per lui questa deve essere una nuova nascita. Non certo una sconfitta».
La storia di Amoako è quella di moltissimi ragazzi minorenni che arrivano in Veneto con il cuore pieno di speranza ma poi si rendono conto che la realtà è ben diversa rispetto alle aspettative.
C’è chi decide di restare comunque in Italia per provare a costruirsi un futuro, ma c’è anche chi trova il coraggio di abbandonare ogni sogno e fare il percorso inverso.
È appunto il caso di questo diciannovenne, con gli occhi da bambino ma con la saggezza di un adulto. Gli avevano raccontato che qui avrebbe trovato facilmente un lavoro e che avrebbe potuto mettere da parte un bel gruzzolo per mantenere la famiglia, ma è andata in modo completamente diverso.
«Voglio tornare nel mio paese – ha raccontato agli amici padovani poco prima di salire sull’aereo -. Io qui sono stanco e non ho trovato quello che cercavo, mentre i miei genitori in Africa hanno bisogno di me. Lo ripetono ogni volta che mi sentono».
Da poche settimane Amoako ha riabbracciato la sua famiglia in Ghana, ma non dimenticherà mai la delusione italiana. Ospite al campo d’accoglienza di Bagnoli, uno degli hub negli ultimi anni al centro di mille polemiche per il suo sovraffollamento, ha lavorato raccogliendo patate per due aziende agricole della zona.
«Era un lavoro duro, per otto ore al giorno ha spiegato prima di salutare tutti -. I soldi che ho visto sono stati ben pochi: nel primo caso non sono stato pagato, nel secondo ho ricevuto 240 euro per un mese».
Il guadagno immediato, quindi, era solo una dolce illusione. Supportato dalla onlus padovana, ha aderito al Programma di rientro volontario assistito del ministero dell’Interno, finanziato con fondi europei.
«Il ragazzo ha ricevuto un contributo per il viaggio, ma anche 1.400 euro per acquistare cinque mucche e avviare un allevamento nel suo villaggio in Ghana spiega don Favarin -. Questo significa davvero aiutarli a casa loro.
È la dimostrazione che c’è un percorso da fare a monte, nei Paesi d’origine di questi giovani, per evitare che vogliano emigrare. Arrivano qui in Italia sentendosi un numero, ma loro vogliono solamente esistere.
Quello dell’immigrazione è un tema complesso: l’integrazione è fondamentale, ma per chi fatica ad integrarsi il rimpatrio assistito è certamente uno degli approcci da tenere in considerazione.
Negli ultimi due anni – aggiunge – abbiamo supportato almeno cinque ragazzi che hanno fatto scelte di questo genere. Avevano tra i 20 e i 24 anni».
Tutti hanno scelto di tornare a casa. Chissà che consiglio daranno ai loro coetanei dei villaggi africani