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La parola della settimana è origine (di Massimo Sebastiani)

Ecco una parola pericolosa. Chiedersi ‘come tutto ha avuto inizio’ è umano e non c’è certamente niente di male. Pretendere che la risposta sia univoca è assai più problematico. E la vicenda stessa della diffusione della Covid in Italia lo dimostra. Dal 21 febbraio, quando grazie all’intuizione di un’anestesista venne certificata la positività al virus di Mattia a Codogno, è iniziata la spasmodica ricerca del cosiddetto paziente zero. Ancora oggi, mentre è in pieno corso la cosiddetta seconda ondata della pandemia e il presidente Trump parla di ‘piaga cinese’, affinché sia chiaro da dove proviene e chi sia il nemico, ancora si discute sulla origine del virus e nonostante il parere delle scienziati c’è anche chi ripropone la tesi del laboratorio da cui sarebbe fuggito per errore o peggio ancora diffuso per non si sa bene quali ragioni.

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A parte il fatto, già di per sé singolare, che lo zero dell’espressione ‘paziente zero’ nasce da un errore (era una lettera ‘o’ e indicava l’abbreviazione di ‘out of California’ per il paziente, canadese, che si riteneva avesse portato l’AIDS negli Stati Uniti nel 1980: non era vero), questa figura ormai mitologica non è mai stato individuata e la diffusione, soprattutto in Lombardia e nel Nord-est, è stata così rapida che il problema è diventato subito quello di circoscrivere il più possibile il contagio piuttosto che dare la caccia all’untore.

E d’altra parte, proprio come per il caso dell’AIDS in America, ora sappiamo che il virus circolava in Italia da settimane prima, se non mesi, e che all’epoca in cui è stato ‘scoperto’ Mattia, il paziente zero poteva essersi già volatilizzato. Codogno, dove il presidente Mattarella ha voluto celebrare la festa della Repubblica, resta un simbolo potente, come il luogo dove tutto è cominciato.

Perché quello della ricerca delle origini è qualcosa che ha a che vedere più con i simboli e i miti che con la realtà. All’inizio (attenzione: non all’origine) del suo rigoroso e divertente ‘Il mito delle origini’ lo storico del Medioevo e dell’alimentazione Massimo Montanari cita il grande Marc Bloch e ricorda la sua espressione ‘idolo delle origini’. E spiega che se parliamo di origine nel senso di inizio, allora il concetto è abbastanza chiaro (anche se non eterno: basta pensare a quante volte è stata spostata la data della comparsa dell’uomo sulla Terra).

Ma quando (come anche nel caso del paziente zero) intendiamo riferirci alla causa, cioè a ciò che determina e ‘garantisce’ o spiega tutto quello che viene dopo, allora le cose si complicano e la contraddizione è dietro l’angolo. L’arte può permettersi straordinarie sintesi poetiche come quella dell’ ‘Origine du monde’, il quadro di Gustave Courbet appartenuto a Jacques Lacan che mette in primo piano un organo femminile e che solo l’algoritmo di Facebook non riconosce come opera d’arte. Ma la storia no. Origine deriva dal latino orīgo, legata al verbo orīri che significa alzarsi e indica dapprima la sorgente, poi la stirpe o l’antenato.

L’idolo delle origini è quello che ci spinge a credere che così come una cosa comincia debba anche continuare mentre il percorso di una cosa, una persona, perfino della rappresentazione di un evento o di un piatto di pasta (come ricostruisce Montanari) e naturalmente di un virus dimostrano che le cose cambiano, hanno una vita, mutano e in questo consiste alla fine la loro identità. Che molti, per le più diverse ragioni, vorrebbero scolpita una volta e per sempre. È per questo che, come sanno gli antropologi, certe tradizioni vengono inventate di sana pianta ‘a posteriori’ (il kilt, massimo simbolo dell’identità scozzese, è stato creato da un imprenditore inglese).

La ‘metafora fulminante’ di Bloch citata da Montanari nel suo libro riguarda la quercia: ‘La quercia nasce dalla ghianda. Ma diventa quercia e tale rimane solo se incontra le condizioni d’ambiente favorevoli, che non dipendono più dall’embriologia’. Le origini (la ghianda) esistono e sono le condizioni necessarie di qualcosa. Ma non sono sufficienti. Tarzan è ancora un uomo ma le sue abilità non sono iscritte già dall’inizio nel suo patrimonio genetico. Ci è voluta un’educazione speciale: quella che gli permette di ‘fare balzi di sei metri nell’aria fino altezza vertiginosa delle cime degli alberi’. Insomma, non si può fare tabula rasa della storia di qualcosa se la si vuole capire e spiegare. A meno che la tabula rasa non sia l’obiettivo: come nella serie di fantascienza in cui un gruppo di personaggi viene spedito su un pianeta pubblicizzato come luogo ideale dove iniziare una ‘nuova’ vita da zero. Il titolo? Origin.

Fonte Ansa.it

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