«La sentenza che condanna Alberto Genovese a otto anni e 4 mesi di carcere, tenuto conto delle gravi imputazioni a suo carico (violenza sessuale aggravata nei confronti di due ragazze) è figlia del rito abbreviato che sconta la pena di un terzo di default. Con questo rito, che se chiesto dall’imputato va concesso e comporta automatici sconti di pena di un terzo, la pena è passata da dodici anni a poco più di otto. Avendo peraltro già trascorso circa nove mesi in carcere in regime di custodia cautelare e successivamente di arresti domiciliari dove si trova anche ora (periodi che andranno scontati dalla condanna inflitta), anche se questa condanna sarà confermata in appello ed eventualmente in Cassazione, per i vari meccanismi processuali di sconti di pena e regimi alternativi, dubito che Genovese andrà ancora in carcere.
Da anni ci battiamo perché sia impedito a chi commette reati con pena massima uguale o superiore a dodici anni di accedere al rito abbreviato, perché sconti di pena automatici per delitti come pedofilia o violenza sessuale non sono eticamente accettabili né aiutano la riabilitazione del colpevole. Auspico, a questo punto, che Genovese si renda davvero conto della gravità di quanto contestato e della sofferenza fisica e psicologica causata alle sue vittime, e che intraprenda un serio percorso di riabilitazione non solo per le sue dipendenze ma soprattutto per le sue condotte, che purtroppo denotano un assoluto spregio del corpo e della dignità delle donne.
Quanto al risarcimento di 50.000 euro stabilito per la ragazza vittima delle violenze che si è costituita parte civile, si tratta di una provvisionale e il residuo danno potrà essere chiesto in un separato giudizio civile». Lo ha dichiarato l’avvocato Elisabetta Aldrovandi, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, commentando la sentenza emessa dal Gup di Milano a carico di Alberto Genovese.