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La storia di Eluana Englaro, dieci anni dopo

eluana englaro 10 anni

Eluana Englaro, morta a 39 anni dopo 17 vissuti in stato vegetativo in seguito a un incidente stradale, ha riscritto assieme a suo papà Beppino la storia del ‘fine vita’ in Italia, sia nelle coscienze che nelle leggi. La sera del 9 febbraio 2009, quando la notizia che aveva smesso di respirare raggelò il Senato mentre si discuteva di fermare l’epilogo voluto dai giudici con l’interruzione dell’alimentazione forzata, è cominciato il cammino che poi portò all’approvazione della legge sul biotestamento.

Al padre di Eluana sono stati necessari dieci anni di lotta nelle aule di giustizia, undici processi e quindici sentenze della magistratura italiana e della Corte europea, per realizzare quella che riteneva fosse la volontà della figlia che, da ragazza, aveva contestato in classe un’insegnante perché aveva elogiato il coraggio di una sua coetanea tenuta in vita da un polmone d’acciaio. Una “purosangue della libertà”, la chiamava e l’ha sempre chiamata Beppino. Ecco le principali tappe della vicenda.

Sulla provinciale che collega Calco a Lecco, l’auto guidata da Eluana Englaro, di ritorno da una serata con gli amici, slitta alle tre di notte su una lastra di ghiaccio e finisce contro un palo. I soccorsi arrivano quando il corpo della ragazza di 22 anni è immobile, lo sguardo fisso, i riflessi già spenti. 

Eluana viene portata all’ospedale di Lecco nel reparto di Rianimazione con gravi lesioni al cervello e la frattura di una vertebra cervicale, assistita da papà Beppino e mamma Saturnia. Il padre vorrebbe opporsi alla tracheotomia che le viene praticata dopo pochi giorni, ma i medici gli spiegano che non c’è bisogno del suo consenso e procedono lo stesso. Un mese dopo esce dal coma. Respira da sola, dorme, si sveglia e viene nutrita attraverso un sondino. 

I genitori e gli amici provano in tutti i modi, su consiglio dei medici, a stimolare Eluana per farla uscire dal torpore finché nel 1994 i medici sentenziano che è caduta in uno “stato vegetativo” e non ci sono più speranze che torni indietro. La ragazza viene trasferita in una casa di cura a Lecco gestita dalle suore misericordine, una delle quali, suor Rosangela, le si affeziona come a una figlia. Il 19 novembre 1996, Eluana viene dichiarata interdetta per assoluta incapacità dal Tribunale di Lecco e viene nominato come tutore suo padre.

Comincia la battaglia legale di Beppino per sospendere l’alimentazione alla figlia. Il Tribunale di Lecco respinge la sua richiesta sostenendo che l’alimentazione forzata non può essere considerata “una cura medica” e dunque non si può invocare l’articolo 32 della costituzione per cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Lo stesso ragionamento induce di nuovo nel 2003 Tribunale di Lecco e Corte d’Appello di Milano a rigettare altre richieste analoghe. 

Si pronuncia per la prima volta la Corte di Cassazione che annulla il provvedimento della Corte d’Appello e rinvia a una sezione di Milano, argomentando che il giudice può interrompere le cure in presenza di due circostanze: che la condizione di stato vegetativo sia irreversibile e che ci siano “elementi di prova chiari, univoci e convincenti della volontà del paziente, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni o dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona”. 

Seguendo l’indirizzo tracciato dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Milano riesamina il caso e autorizza Beppino Englaro, in qualità di tutore, a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzata che tiene in vita la figlia. 

Camera e Senato sollevano un conflitto di attribuzione contro la Cassazione sostenendo che la pronuncia del 2007 costituisce “un atto sostanzialmente legislativo, innovativo dell’ordinamento vigente”, competenza che spetterebbe solo al legislatore. A ottobre però la Consulta dà ragione agli ‘ermellini’ stabilendo che la loro sentenza non è innovativa perché basata sul principio costituzionale di poter rifiutare le cure. 

Il Presidente della Repubblica si rifiuta di firmare, ritenendolo incostituzionale, un decreto legge con cui il governo vorrebbe evitare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione nei pazienti in stato vegetativo.

Eluana viene trasportata dalla casa di cura di Lecco alla casa di riposo ‘La Quiete’ di Udine. Scelta obbligata quella di lasciare la Lombardia perché il direttore generale della sanità, Carlo Lucchina, non vuole che la sentenza sia eseguita nella sua regione. Le fa visita l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi: “Ho constatato che le sue condizioni generali sono buone e vive senza l’ausilio di alcun macchinario”. Qualche giorno dopo arriverà anche l’opinione del premier Silvio Berlusconi: “Eluana ha un bell’aspetto e delle funzioni, come il ciclo mestruale attivo, non staccherei la spina”. I radicali sono a capo del movimento che appoggia la scelta di Beppino. 

Il Senato si riunisce per discutere un disegno di legge per provare a fermare l’esecuzione della sentenza della Corte d’Appello. A dibattito in corso, arriva la notizia della morte di Eluana, alla quale erano stati sospesi progressivamente alimentazione e idratazione dal sei febbraio. Alle 20 e 24, il primario di rianimazione della clinica telefona a Beppino per comunicargli che alle 20 e 10 la figlia è morta. “Eluana ci ha lasciati, ora voglio restare solo”, sono le sole parole del papà della ragazza. 

Il gip di Udine chiede di archiviare l’inchiesta per omicidio a carico di Beppino Englaro e e altre 13 persone, avviata dalla Procura dopo la morte. Una perizia effettuata sull’encefalo della paziente conferma che i danni conseguenti all’incidente del 1002 erano “anatomicamente irreversibili”.

Beppino Englaro ottiene un risarcimento di 164 mila euro dalla Regione Lombardia per avergli impedito di staccare l’alimentazione a Eluana.

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