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Villafranca Tirrena
“Mia sorella Graziella è stata uccisa più volte, non solo dai mafiosi ma anche dallo stato e questo fino a pochi mesi fa. Graziella fu consegnata a quei due assassini. E chi copriva quella latitanza oggi è libero e rimangono degli assassini”. A parlare con l’Agi è Piero Campagna, carabiniere, una vita spesa, con i suoi fratelli, a cercare la verità sull’omicidio della sorella Graziella.
Graziella era una diciassettenne di Saponara (Messina) che lavorava in una lavanderia a Villafranca Tirrena. La ragazzina fu rapita e uccisa il 12 dicembre 1985, crivellata da colpi d’arma da fuoco (fucile e pisola) esplosi da pochi metri di distanza in volto. Il corpo esanime della fanciulla fu ritrovato solo due giorni dopo.
Graziella Campagna fu assassinata perché aveva trovato un’agenda “verità” nel taschino di una camicia che si apprestava a lavare, era dell’”ingegnere Cannata”. Ma il documento svelava il vero nome dell’uomo: non Cannata ma Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti.
“Graziella mai e poi mai avrebbe ricondotto il nome al mafioso”, spiega Piero Campagna. “Mia sorella era una ragazza felice e senza grilli per la testa. Da quel giorno la mia famiglia non ha avuto più pace, nessuna felicità, le feste non esistono più e anche quando facciamo un sorriso è falso. A volte ci nascondiamo per i figli, per non fargli comprendere nulla ma non è così”.
Piero Campagna racconta che il 12 dicembre del 1985 “è arrivato l’inferno”. Per l’uomo “non va dimenticato che la patente di uno dei due latitanti fu trattenuta per un mese in caserma e poi, quando hanno ucciso Graziella, venne tirata fuori. Se quella patente fosse stata tirata fuori, Graziella era ancora viva”.
Nel ricordo di Piero Campagna le passioni della sorella: “Graziella era una ragazzina che amava la vita, ricamava, aveva la prima nipotina ed il suo sogno era un futuro matrimonio e diventare mamma”.
Graziella Campagna (Wikipedia/Commons)
La rabbia di Piero Campagna pensando che uno dei due killer della sorella, condannati con sentenza definitiva all’ergastolo, fosse in semilibertà e arrestato nuovamente a Firenze, con un bar milionario a lui ricondotto dagli inquirenti. “Sarei potuto andare a prendere un caffè in quel bar a Firenze, e mi sarei trovato lui davanti senza saperne nulla. È una vergogna, è una vergogna che uno degli assassini di mia sorella fosse già libero”.
Ed ancora “ma come si fa a concedere la libertà a chi in quella stessa città ha ucciso un gioielliere e due anni dopo, in Sicilia, una bambina di 17 anni”.
Piero Campagna non ha mai fatto carriera nell’Arma, anche per “colpa” di quelle indagini fatte in maniera autonoma per arrivare alla verità sulla morte della sorella. Ieri le lacrime hanno rigato il suo volto quando il prefetto di Messina, Maria Carmela Librizzi, ha svelato la targa nel salone più importante del Palazzo del Governo alla giovane ragazza.
Ma la grandezza dell’uomo Piero Campagna sta anche nella chiosa finale: “A volte ho pensato anche di vendicarmi da solo. Ma per la famiglia in cui sono cresciuto e la divisa che porto ho capito che la strada giusta era quella della legalità. Ed alla fine ho avuto ragione ma lo Stato faccia piena verità e non ripeta scempi come quello di Sutera: per il perdono ci vuole il pentimento. Loro non si sono mai pentiti”.
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