Città e tribunale blindati a Minneapolis, che attende in un’atmosfera sempre più tesa il verdetto del processo a Derek Chauvin, l’ex agente accusato di aver ucciso un anno fa George Floyd tenendo il ginocchio sul suo collo per oltre nove minuti, nonostante mormorasse “non riesco a respirare”.
Ma ad attendere la decisione della giuria è l’intero Paese, dove questo dibattimento trasmesso in diretta dai grandi network e le sparatorie che si sono susseguite anche nell’ultimo weekend costringono gli americani a confrontarsi per l’ennesima volta con la cultura della violenza e delle armi, anche da parte della polizia. E con la sua discriminazione verso le minoranze, in particolare quella nera.
Crescono intanto i timori, anche da parte dello stesso Joe Biden, che un’assoluzione o una pena troppo lieve possa scatenare una nuova ondata di proteste, dopo quelle che arrivarono oltreoceano. Nei giorni scorsi ci sono già stati segnali preoccupanti. Come gli spari da un Suv che hanno ferito due uomini della guardia nazionale impegnata a presidiare la città. O il sangue di maiale sulla casa di un esperto che ha testimoniato a favore di Chauvin. Per questo sono state rafforzate le misure di sicurezza ovunque e il tribunale è diventato un fortino, circondato da alte barriere di cemento e recinzioni col filo spinato.
Prima che la giuria (metà bianca e metà afroamericana) si ritirasse in un hotel, le parti hanno tenuto i loro interventi conclusivi. Il procuratore Steve Schleicher ha accusato l’ex agente di aver tradito il suo distintivo e di aver ucciso Floyd con un “assalto”, ignorando le sue disperate implorazioni, le regole sull’uso della forza e la prassi della rianimazione. “Nove minuti e 29 secondi”, ha ripetuto spesso, ricordando la durata della presa sul collo della vittima, ammanettato a terra davanti al negozio che lo aveva accusato di aver spacciato una moneta falsa di 20 dollari per comprare le sigarette.
La difesa, guidata dall’avvocato Eric Nelson, ha sostenuto che Chauvin seguì le regole dell’addestramento e ha cercato di seminare dubbi sulle cause della morte di Floyd, attribuendola ai suoi problemi di cuore, aggravati dall’uso di droghe e dal monossido di carbonio della marmitta della volante. L’ex poliziotto, incastrato anche dal suo ex comandante, ha rifiutato di testimoniare ma si è dichiarato sin dall’inizio non colpevole. Tre le accuse sul suo capo: dalla meno grave di omicidio colposo (sino a 10 anni) a quelle più pesanti di omicidio di secondo grado, ossia preterintenzionale (sino a 40 anni) e di terzo grado (sino a 25 anni), per azioni particolarmente pericolose compiute con sconsiderata indifferenza per la vita umana.
E anche Facebook si prepara al verdetto. Il social di Mark Zuckerberg rimuoverà le eventuali “chiamate alle armi nell’area di Minneapolis” e si impegna a “proteggere la memoria di Floyd e i membri della sua famiglia da eventuali abusi. In base a queste norme rimuoveremo i contenuti che celebrano o deridono la morte di Floyd”.
Fonte Ansa.it