Napoli, città dell’attesa e non della concretezza, sempre in bilico tra la speranza ottimistica e il fatalismo, dedica la settimana al suo patrono. Ma il sangue si scioglie, Napoli resta un grumo irrisolto: ciò nonostante la speranza non muore
Huffingtonpost.it, Don Gennaro Matino
Napoli dedica la settimana al suo patrono, il martire Gennaro, protettore della città, della Campania e del meridione d’Italia. È una ricorrenza che travalica il religioso e si insinua nel sentimento di appartenenza di un popolo che si sente abbandonato, che non sa più di chi fidarsi, a chi lanciare il proprio grido di frustrazione.
Qualche tempo fa ebbi un confronto in un dibattito radiofonico con la compianta astrofisica Margherita Hack, la quale sostenne che il sangue del Santo altro non è che un poco di sciroppo colorato che si scioglie a comando, buono solo per alimentare la superstizione dei creduloni. Non mi sorprese la sua opinione, peraltro condivisa da tanti, ma nonostante restassi fermamente convinto del carattere prodigioso dell’evento, della fede semplice e sincera di quanti credono nella liquefazione del sangue di San Gennaro, non mi sfuggì la possibilità effettiva di un rischio di fuga nell’infantilismo religioso, probabilmente sfruttato anche dalla Chiesa e dai governi di ogni tempo per amministrare una realtà sociale non sempre governabile. La domanda da porsi è allora questa: il prodigio è segno di liberazione e riscatto per Napoli e il meridione o una fuga omeopatica per cercare soluzioni nel mistero, dato che dal quotidiano vivere non ne arrivavano ancora?
Napoli viene definita la città dei sangui e il rimando alla sua stessa natura non è sottaciuto da diversi commentatori che vedono un legame fortissimo tra il sangue del martire e il color porpora dei significati propri di appartenenza alla città e alla sua gente: vigore, passione, fantasia color sangue, gente sanguigna che non colma nella moderazione il suo vivere, ma nell’esagerazione. Eppure, la storia di Napoli, benché gloriosa, sembra essere, più che sanguigna, dissanguata da lotte di liberazione mai portate a termine e da progetti mai realizzati. Più facile aspettare che scorra il sangue di Gennaro, che lasciar scorrere il proprio per restare fedeli all’impegno civile e al rispetto del bene comune. E mentre le aule ecclesiastiche si sono riempite per secoli di fedeli, la città si è svuotata di cittadini, napoletani che ancora non riescono, forse anche per una mancata coerenza tra messaggio e vita, a coniugare Vangelo e società.
Napoli aspetta più volte l’anno il prodigio del sangue e questo la rende tra le città del mondo più religiose, forte di una fede popolare difficile da rintracciare altrove. Tuttavia, l’attesa del prodigio fa parte della sua stessa struttura psicologica, il suo essere città dell’attesa e non della concretezza, sempre in bilico tra la speranza ottimistica e il fatalismo. Una condizione che spegne sul nascere progetti a lungo termine che avrebbero bisogno di coraggio e di un paziente lavoro di verifica costante tra l’annuncio del possibile traguardo e la strada faticosa da intraprendere.
Napoli è famosa per la liquefazione del sangue, ma liquefazione rimanda a fluente, liquido, un termine che a detta di Bauman descrive la nostra società. E in realtà qui si palesa la più grande delle contraddizioni: mentre il sangue di Gennaro si scioglie, Napoli rimane un grumo perennemente solido, ferma come la finale del famoso dramma di Beckett che mentre annuncia la partenza, mostra sul palco gli attori immobili. Ferma tra programmi e realizzazioni, tra teatrali annunci e inconsistenza di struttura. Anch’io aspetto il giorno del prodigio, ma spero che insieme al sangue di Gennaro si sciolga, per chi crede e chi non crede, la verità che libera: il prodigio di una città che, forte della propria memoria, dei propri mezzi, della sua gente, raccolga tutte le sue forze per legare al grande prodigio del sangue che si scioglie, una città prodigiosa, forte di passione civile, capace di sciogliere i suoi antichi mali.