Olivier Morin / Afp
Imane Fadil, teste chiave nel processo Ruby
Nessuno, neppure a parenti e amici, deve vedere il corpo di Imane Fadil, la 34enne modella di origine marocchina e teste chiave nel processo Ruby morta il primo marzo per un sospetto avvelenamento. “Non farla vedere a nessuno”, è la scritta che si legge sul fascicolo dell’obitorio, apposta da un funzionario del Comune su ordine del pm. La disposizione dell’autorità giudiziaria è stata confermata da un addetto della struttura.
La morte di Imane Fadil ricorda quella, nel novembre del 2006, dell’ex agente dell’Fsb russo Aleksandr Litvinenko, avvelenato dal polonio che qualcuno aveva nebulizzato su una tazza di tè in un locale elegante a Londra. O quella, avvenuta sei anni dopo, nel novembre del 2012, dell’uomo d’affari Aleksander Perepilichnyy che collassò mentre correva vicino a casa sua a Weybridge, nel Surrey. La sua morte inizialmente fu attribuita a cause naturali, ma l’inchiesta ha trovato tracce di veleno nel suo stomaco. Prima di morire aveva aiutato una società d’investimento a scoprire un’operazione russa di riciclaggio da 230 milioni di dollari.
Ora si torna a parlare di avvelenamenti e di mix di sostanze radioattive per una vicenda che appare lontana anni luce dalle morti misteriose di Londra: il decesso, per il momento altrettanto misterioso, di Imane Fadil, modella marocchina, assurta agli onori delle cronache italiane perché ospite di una delle ‘serate eleganti’ organizzate per Silvio Berlusconi ad Arcore.
Teste chiave dell’accusa nei processi Rubu, è morta a 34 anni il primo marzo scorso per, secondo fonti vicine all’inchiesta, un “mix di sostanze radioattive che non si trovano in commercio, in quantità tale da escludere una contaminazione accidentale”. La causa del decesso è certificata dagli esami tossicologici trasmessi dall’ospedale Humanitas in Procura il 6 marzo scorso, cinque giorni dopo la morte. Fonti della Procura di Milano non confermano però l’indiscrezione.
“Mi hanno avvelenata”
A dare notizia del decesso ai giornalisti è il procuratore di Milano, Francesco Greco, che annuncia anche l’apertura di un’indagine per omicidio volontario. Un atto dovuto dal momento che la ragazza, durante il ricovero, aveva confidato a persone a lei vicine il timore di essere stata avvelenata e che una prima analisi delle cartelle cliniche descrive una “sintomatologia da avvelenamento”. Tutte le ipotesi restano però aperte, dall’ errore medico al decesso per una patologia ancora non identificata.
La voce che la modella marocchina stesse male si era diffusa dopo che, il 14 gennaio scorso, il Tribunale aveva escluso lei, Ambra Battilana e Chiara Danese, cioè le tre ragazze che si ritenevano danneggiate dal bunga – bunga, dal novero della parti civili nel processo Ruby ter, sbarrando così la strada a eventuali richieste di risarcimento, in caso di condanna, a Silvio Berlusconi. “Ha avuto un crollo nervoso”, si diceva.
Invece, dopo un violento malessere a casa di un amico, era stata ricoverata dal 29 gennaio nella clinica Humanitas di Rozzano, dapprima in terapia intensiva e poi in rianimazione, con sintomi come mal di pancia e vomito che poi si erano aggravati, fino a trasformare il suo ultimo mese di vita in “un calvario”, reso ancor più penoso dal fatto che quasi fino alla fine è rimasta “lucida e vigile”.
Al suo avvocato Paolo Sevesi, che più volte è andato a trovarla, e poi anche al fratello, Imane ha ripetuto più volte di essere stata avvelenata. “Non posso dire se mi ha fatto dei nomi”, fa muro ora il suo legale, vincolato dal segreto perchè è stato sentito come testimone dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliana e dal pm Luca Gaglio.
“Una vicenda strana”
Convocati in Procura anche i medici, il fratello e chiunque possa riferire informazioni utili in attesa che l’autopsia venga eseguita nei prossimi giorni. “Speriamo che la scienza ci risolva il problema”, confida Greco definendo “una vicenda strana” la morte di Imane. Stando a quanto spiegato dal procuratore, ai magistrati la notizia del decesso è arrivata solo da una settimana dall’avvocato Sevesi e subito è stato disposto il sequestro delle cartelle cliniche da cui emergono “anomalie” e dei campioni di sangue prelevati durante il ricovero.
Imane stava scrivendo un libro, la Procura ha acquisito le bozze anche se dalla loro lettura non sarebbe emerso nulla di rilevante. “Per ciò che succedeva ad Arcore noi ragazze che abbiamo deciso di non farci corrompere abbiamo pagato più di altre”, aveva detto in un’intervista recente Imane, ragazza fragile che, in un colloquio un anno fa col ‘Fatto Quotidiano’ aveva parlato dell’esistenza di “una setta di Satana ad Arcore”.
Testimone nel primo processo Ruby chiuso con l’assoluzione dell’ex premier, Fadil era stata parte civile nel processo a carico di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, ricevendo un risarcimento che ha sempre sostenuto di non avere incassato. Puntava al processo Ruby ter, quello con al centro l’accusa di corruzione per Berlusconi e agli altri 27 imputati, e spesso si era lamentata dei continui rinvii delle udienze che impedivano, a suo dire, l’accertamento della verità.
Poi, l’esclusione dalla parti civili e il ricovero. Un mistero, il suo, che si aggiunge alla scomparsa dell’avvocato Egidio Verzini, andato a morire in una clinica Svizzera il 4 dicembre scorso per una malattia incurabile, il giorno dopo avere consegnato alla stampa la sua verità sul caso Ruby.
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