La convivenza forzata durante il lockdown, in alcuni casi, ha aumentato l’esplosione di comportamenti conflittuali all’interno delle mura domestiche, tanto da parlare di una doppia epidemia: epidemiologica e di violenza. I casi di cronaca riportano quotidianamente le aggressioni tra adulti o, nei casi più estremi, quella sui minori. Raramente però si parla del “parental abuse”: Il comportamento violento reiterato dei figli verso i genitori. L’avv. Valentina Ruggiero mette in luce questo fenomeno, ancora sottostimato e sottovalutato nel nostro Paese, spiegando cosa fare per arginarlo.
«Quando ci troviamo di fronte a un coniuge violento la situazione è critica, certo, ma può accadere. Rientra nel calcolo delle probabilità – spiega Valentina Ruggiero – Quando a essere violento è un proprio figlio, invece, allora iniziano i sensi di responsabilità e di colpa e, proprio per questo, si ritarda spesso ad applicare il rimedio di tutela. Un problema delicato che coinvolge molti genitori e che negli ultimi tempi è cresciuto, anche a causa dell’isolamento sociale dovuto alla pandemia».
Secondo i dati Istat, nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019. La violenza segnalata è soprattutto fisica (47,9% dei casi). Rispetto agli anni precedenti, è diventata maggiore la richiesta di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020). Riguardo agli autori, aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019). Dati che, però, potrebbero non tenere conto della violenza reiterata, sia fisica sia verbale, subita dai genitori da parte dei figli. Questo per via di comprensibili paure e sensi di colpa o vergogna. Sentimenti che portano molti genitori a non denunciare e prendere i provvedimenti necessari per arginare il problema.
«È difficile avere dati certi sul fenomeno, poiché nella maggior parte dei casi il genitore non denuncia, pensando così di tutelare il proprio figlio. Purtroppo, però, non è così, e i casi di parental abuse non sembrano diminuire. Una madre e un padre, in questi casi, deve forzarsi e chiedere aiuto, immediatamente, subito dopo i primi atti violenti – spiega l’esperta in diritto di famiglia – poiché c’è in gioco anche la propria incolumità e quella degli altri componenti della famiglia. Il genitore deve necessariamente prendere atto della situazione e rimanere obiettivo, soprattutto per il bene stesso del minore, chiedendo sostegno, anche a strutture specialistiche nel volontariato». Un genitore non può allontanare da casa il figlio minore perché ne è giuridicamente e moralmente responsabile e l’unica soluzione, dunque, è proprio quella di rivolgersi a un terapeuta, con competenze specifiche per l’età della crescita, che dia supporto e inizi un percorso con il ragazzo o la ragazza. Ne caso in cui le manifestazioni violente fossero però molto gravi, sarà necessario un intervento più efficace, presso strutture specializzate.
Cosa succede nel caso in cui il figlio fosse maggiorenne? «Il soggetto è equiparato alla stregua di qualsiasi altro adulto violento, le cui azioni sono regolamentate dalla norma civile e che deve essere allontanato poiché potenzialmente pericoloso all’interno del nucleo familiare. Il problema, però, sorge se il figlio maggiorenne non è economicamente autosufficiente e per questo, nonostante tutto, deve essere necessariamente mantenuto dal genitore», spiega Valentina Ruggiero, aggiungendo: «Il figlio non può essere definito autosufficiente anche qualora avesse un lavoro ma non abbastanza stabile da permettergli una vita dignitosa».
Rivolgersi immediatamente a dei professionisti che possano dare un reale supporto, legale o psicologo, è la prima e unica tappa per poter superare velocemente la problematica.