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Perché diciamo “Pietà l’è morta”

Perché diciamo "Pietà l'è morta"

Se da una parte è “Dovuto e sacrosanto” il compito di trovare soluzione al problema dell’immigrazione clandestina, dall’altra la politica risulta essere “al tempo stesso totalmente disinteressata al profilo umanitario: potrei dire che la pietà, declinata nel suo senso laico, è morta”.

Sono queste le parole pronunciate, durante la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario in Cassazione, dal procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo. Il problema migranti e l’atteggiamento politico tenuto dal governo, con riferimenti non troppo velati in particolare all’operare del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, sono temi toccati più volte durante l’evento.

C’è chi teme che i procedimenti legati alle richieste d’asilo arrugginiscano velocemente, e ancor di più, la macchina burocratica, come il presidente della corte d’appello milanese Marina Tavassi, che ricorda che “in appello si è passati dai 291 procedimenti pendenti nel 2016 ai 2.509 del giugno 2017” e c’è chi contesta in maniera vaga ma diretta le modalità con le quali Salvini porta avanti la propria linea politica, come il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, che dice “Legalità non è solo repressione. Occorre avere piena consapevolezza, ad esempio, della complessità della questione migratoria, che tanto impatto ha sia sulla percezione della sicurezza che sulle attuali politiche securitarie”.

Ma a rimbombare sono proprio le parole del pg Saluzzo, quel “pietà l’è morta” che ha costretto lo stesso Salvini, di passaggio al gazebo della Lega in piazza Oberdan a Milano ieri, come scrive La Repubblica, a rievocare uno dei tormentoni del ventennio berlusconiano: “evidente invasione di campo di qualche giudice di sinistra che vuol fare politica”.

 (Agf)

  Francesco Saluzzo 

Ma a cosa si riferiva esattamente il procuratore generale di Torino con quel “Pietà l’è morta”?

Molto probabilmente ad una delle più celebri canzoni contro la guerra, un canto partigiano che in realtà si ispira a “Sul ponte di Perati”, melodia coniata dalla Brigata alpina “Julia” durante la campagna italiana in Grecia della stagione ‘40/’41, sul fiume Vojussa, nei pressi della linea di confine con l’Albania. Poi Nuto Revelli, ufficiale partigiano ma anche scrittore e nella storia più volte ricordato come uno dei personaggi icone della lotta al fascismo, ne riadattò il testo fino a farlo diventare uno degli inni della lotta alle camicie nere.

Nel 2005 furono i Modena City Ramblers, band modenese da sempre politicamente schierata a sinistra, a proporne una loro versione nell’album “Appunti partigiani”, duettando nel brano con Ginevra Di Marco. Nel 2011 i The Gang, band folkloristica marchigiana, incidono anche loro “Pietà l’è morta” in occasione dell’album “La rossa primavera”. Interpretazioni musicali diverse ma che mantengono sempre lo stesso contenuto, quelle parole che dicono:

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Lassù sulle montagne

sventola bandiera nera:

è morto un partigiano

nel far la guerra.

È morto un partigiano

morto nel far la guerra

la meglio gioventù

che finisce sottoterra.

Laggiù sottoterra

trova un alpino

caduto al freddo in Russia

morto con il Cervino.

Nemici e traditori

un altro compagno è morto

ma un altro partigiano

oggi è risorto.

Ma prima di morire

tre volte ha pregato

che Dio maledica

il nemico alleato.

Che Dio stramaledica

chi ci ha tradito

lasciandoci sul Don

e poi è fuggito.

Combatte il partigiano

la sua dura battaglia

tedeschi e fascisti

fuori d’Italia!

Tedeschi e fascisti

per sempre fuori d’Italia

gridiamo a tutta forza

pietà l’è morta! 

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