Un protocollo tra Cei (la Conferenza dei vescovi italiani), che finanzia interamente l’azione, e il ministero dell’Interno, strappa alla vita disumana dei campi profughi 139 eritrei
Sono 139 i profughi che mercoledi’ 27 giugno all’alba arriveranno all’aeroporto di Roma Fiumicino. Uomini, donne e bambini strappati alla vita disumana dei campi profughi. Un corridoio umanitario reso possibile grazie al protocollo siglato dal ministero dell’Interno e dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana che finanzia interamente il progetto. L’intero viaggio dei profughi è documentato dalle telecamere del Tg2000, il telegiornale di Tv2000, e dall’inviato Vito D’Ettorre.
Venerdì scorso al Viminale la Caritas italiana e rappresentanti del ministero dell’Interno hanno messo a punto come di consueto le procedure di arrivo dei profughi in Italia ricevendo di fatto il nulla osta. Da qualche settimana i rifugiati si trovano nella capitale dell’Etiopia, Addis Abeba, per sbrigare tutte le formalità necessarie per ottenere il visto dall’ ambasciata italiana. Impronte digitali, registrazioni, controlli. La Caritas italiana da mesi è al lavoro nei campi profughi in Etiopia per selezionare i casi vulnerabili. Ad attendere i profughi a Roma ci saranno gli operatori delle Caritas diocesane che li accoglieranno e si occuperanno della loro integrazione.
“Ci saranno oltre 20 Caritas diocesane che in questi mesi – ha spiegato un operatore Caritas al Tg2000 – si sono attrezzate per preparare gli appartamenti e le comunita’ per l’accoglienza di queste persone. Sono nuclei familiari, persone singole, uomini e donne. Ci sono anche alcune donne vittime di violenze e torture”. “Sono davvero emozionato”, ha spiegato, ai microfoni del Tg2000, Uddin eritreo scappato dal suo Paese perche’ perseguitato dal regime di Asmara. Con la famiglia sara’ accolto ad Assisi. “Non vedo l’ora di andare ad Assisi – ha proseguito l’eritreo -. Io sono grato fin da adesso alle persone che in Italia ci accoglieranno. Conoscere persone nuove vuol dire imparare ed apprezzare una nuova cultura. E’ esattamente quello che voglio fare. Ho imparato anche qualche parola d’italiano come ‘buongiorno’ e ‘buonanotte’. La vita nel campo profughi dove ho vissuto è durissima: il cibo non è abbastanza, le cure mediche sono scarse. Le baracche sono fatte di plastica e lamiera. Non si possono chiamare case, ci piove dentro e quando fa caldo è insopportabile viverci. Il campo profughi non è un posto adatto agli esseri umani. Grazie Italia”.