La proposta di legge a prima firma Federica Daga (M5s) sull’acqua pubblica è il nuovo terreno di scontro tra alleati di governo – con Lega e M5s che portano avanti sensibilità diverse – e con l’opposizione.
Il sito istituzionale della Camera non risulta ancora aggiornato agli ultimi sviluppi, ma a quanto si apprende da fonti di stampa la proposta di legge Daga, terminata la discussione preliminare in commissione Ambiente, è stata oggetto di numerosi emendamenti a inizio febbraio. Tra questi, alcuni “pesanti” della capogruppo leghista Elena Lucchini.
Anche l’opposizione ha criticato questa proposta di legge. In particolare Luigi Marattin, capogruppo del Pd in commissione Bilancio, ha scritto il 18 febbraio sulla propria pagina Facebook un lungo post intitolato “la bufala dell’acqua privata: cronaca in 10 punti dell’ennesima cialtronata M5s”. Tra le altre cose Marattin afferma: «Ad oggi, il 97,6% della popolazione italiana è servita da soggetti pubblici o in maggioranza pubblici. Solo poco più del 2% di italiani ricevono l’acqua da gestori privati».
Diametralmente opposta la versione del Movimento 5 stelle, con il deputato Alberto Zolezzi che in una nota dello stesso 18 febbraio ha dichiarato: “Chi sostiene che in Italia l’acqua sia già in mano pubblica dice il falso: 30 milioni di cittadini sono serviti da aziende che vedono soggetti privati tra i loro azionisti”.
Chi ha ragione?
La proprietà della rete idrica italiana
Le reti idriche italiane sono di proprietà pubblica – come stabilito dall’art. 23 bis co. 5 del d.l. 112/2008 e ribadito dalla Corte Costituzionale con sentenza 320/2011 – ed è vietata la loro cessione a soggetti privati, anche se la società avesse capitale interamente pubblico.
Ma, ancora in base all’art. 23 bis del d.l. 112/2008, «la loro gestione può essere affidata a soggetti privati». Vediamo dunque qual è la situazione dei gestori delle reti idriche italiane.
La gestione della rete idrica italiana
Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende – pubbliche e private – operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, e che «rappresenta la quasi totalità degli operatori dei servizi idrici in Italia», fornisce i dati necessari.
Questi provengono da un’elaborazione di Utilitalia dei dati contenuti nel Blue Book 2017, elaborato dalla fondazione Utilitatis con il contributo scientifico di Cassa Depositi e Prestiti.
In un brochure di Utilitalia, per quanto riguarda la «distribuzione della popolazione nazionale per tipologia di gestore del servizio idrico», si leggono i seguenti dati: il 53% della popolazione residente in Italia riceve un servizio erogato da società interamente pubbliche, il 32% da società miste a maggioranza o controllo pubblico, il 12% direttamente dall’ente locale (c.d. gestione in house, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria), il 2% da società private, l’1% da società miste a maggioranza o controllo privato.
In base a questi dati, risulta che Marattin abbia in sostanza ragione: il 97% della popolazione italiana è servita da «soggetti pubblici o in maggioranza pubblici». I soggetti interamente privati o in maggioranza privati sono il 3%.
Zolezzi è invece impreciso: anche conteggiando i soggetti a maggioranza pubblici, ma con «soggetti privati tra i loro azionisti», la percentuale di popolazione servita da privati arriva al massimo al 35%. Considerato che la popolazione residente in Italia è di circa 60,5 milioni di individui, il 35% è pari a un po’ meno di 21,2 milioni.
Conclusione
La proprietà della rete idrica italiana è interamente pubblica, e non potrebbe essere altrimenti. È invece possibile che venga affidata a soggetti privati la gestione della rete.
Marattin ha ragione nel sostenere che il 97% della popolazione italiana sia servita da soggetti pubblici o in maggioranza pubblici. I dati delle società che gestiscono i servizi idrici confermano infatti questa percentuale.
Zolezzi, che prende in considerazione un insieme diverso – visto che conteggia anche le società in cui i privati hanno una partecipazione anche minoritaria – fa invece un’affermazione imprecisa. Gli italiani serviti da aziende che vedono soggetti privati tra i loro azionisti, anche minoritaria o minima, sono infatti poco più di 20 milioni, e non 30 milioni.
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