Il quinto referendum per separare Mestre da Venezia non si farà. La sentenza del Tar ha gelato l’entusiasmo degli autonomisti: la macchina organizzativa era già partita. Ma Venezia e Mestre continueranno a restare unite
La macchina organizzativa era già a regime. Manifesti pronti per essere affissi, l’organizzazione di comizi e banchetti. E poi i confronti dei bar e magari la frase dominante “ma ga senso far naltro referendum?” (tradotto, ha senso fare un altro referendum?). La doccia gelata per gli autonomisti è arrivata dalla decisione del Tar che ha di fatto, sentenza di 38 pagine, ha bocciato il referendum consultivo per la separazione di Mestre e Venezia. In pratica 209 mila persone sarebbero state chiamate alle urne il prossimo 30 settembre e già nei giorni scorsi erano già stati delineati i confini delle due città, una di terra ed una di acqua. Come sempre in queste occasioni c’è chi esulta (il sindaco Luigi Brugnaro) e chi si abbatte (l’economista e autonomista Gian Angelo Bellati). Ma quella del referendum per dividere Mestre da Venezia non è una novità. Dal 1979 ad oggi i cittadini mestrini-veneziani sono stati chiamati ben quattro volte a decidere sulla divisione: per ben tre volte vinse il NO al divorzio, nel 2003 non venne neppure raggiunto il quorum. E se il 30 settembre i cittadini si fossero recati alle urne che esito ne sarebbe uscito? Chiaramente parliamo al condizionale. L’anno scorso in ottobre a larga maggioranza il Veneto aveva votato Si alla proposta di maggiore autonomia chiesta dal presidente della Regione Luca Zaia. In questo momento i sondaggi danno come politico del momento il vice premier Matteo Salvini. E soprattutto anche nella un tempo “rossa” Venezia la spinta autonomista sta facendo proseliti (vedi risultati elezioni politiche del 4 marzo scorso in laguna). Ma per un motivo o per l’altro evidentemente “questo matrimonio non s’ha da disfare”, vale a dire, che forzatamente, o attuando il classico “buon viso a cattivo gioco”, Venezia e Mestre dovranno continuare a convivere assieme.