Si tratta, dice Cantone, di una mafia diversa da quella tradizionale, ma che condiziona ugualmente l’ambiente sociale con intimidazione e omertà, si nutre di corruzione e aggredisce i gangli della pubblica amministrazione. In certe Regioni l’esempio
Qualunque professionista o società abbia avuto a che fare con lo strapotere di certe Regioni -soprattutto quelle “autonome”, che in diversi casi non hanno più alcuna ragione di essere tali- ha conosciuto una “mafia bianca” inossidabile e consociativa, basata sulla penetrazione capillare e familistica nei gangli del potere, con grandi e privilegiate risorse pubbliche completamente sottratte al controllo dello Stato -anche grazie alla complicità in molti casi della magistratura, contabile e non, e della stampa locale-, distribuite esclusivamente e persino per via ereditaria tra e dai capi-cosca. Costoro sono sono sempre gli stessi, passati da un regime all’altro senza perdere un grammo del loro potere più o meno occulto, totalmente “legibus soluti” in nome magari di vari pretesti autonomistici.
Vi sono scandali e ruberie di importo colossale -a volte emersi per puro caso o perché l’inchiesta era temporaneamente finita nelle mani del pubblico ministero sbagliato- passati completamente sotto silenzio, e persino superiori al giro d’affari di “mafia capitale”. Queste regioni periferiche sono lontane dai riflettori mediatici, anche perché, come si diceva, la stampa locale è completamente asservita. Le amministrazioni locali bianco-mafiose hanno spesso bisogno di “ganci” nell’amministrazione centrale dello Stato: a questo provvedono con solerzia i parlamentari della regione, che poi, al termine dei loro mandati di onorato servizio (alla Regione e non certo ai cittadini), trovano sicuro e strapagato rifugio tra le domestiche mura dei poteri locali. Capi a vita di qualche ente, dal quale continuano indisturbati -e, anzi, omaggiati quali “padri della Regione”, magari autonoma e in nome dell’autonomia- a tessere trame. La vera mafia bianca, caro Cantone, che condiziona, come Lei dice, l’ambiente sociale con intimidazioni e omertà e -aggiungiamo- emargina sistematicamente chi non ne rispetta i dettami, è anche e soprattutto questa. Speriamo che da “mafia capitale” si passi presto a scoperchiare “mafia regionale”.
Dice Cantone a “La Stampa” a proposito della decisione della Corte d’Appello di Roma sul Mondo di mezzo: “Una sentenza di fondamentale importanza perché riguarda un nuovo tipo di mafia, diversa da quella tradizionale delle bombe e delle stragi, ma che condiziona ugualmente l’ambiente sociale con intimidazione e omertà, si nutre della corruzione e aggredisce i gangli della pubblica amministrazione, in particolare un pezzo del Comune di Roma”.
“Si tratta – aggiunge – di una mafia differente da quella tipica, che evoca meno immagini di bombe e lupara ed è più connessa ai colletti bianchi. Come aveva già peraltro configurato la Cassazione in fase cautelare, Mafia capitale è un sistema in cui la corruzione rappresenta una penetrazione mafiosa nel territorio”. Il presidente dell’Autorità anticorruzione dice che non è “diversamente pericolosa dalle altre. Perché mette in discussione la regolarità delle attività della pubblica amministrazione, lo spirito di concorrenza delle imprese e il diritto di accesso alle risorse pubbliche. Averne riconosciuta l’esistenza restituisce fiducia ai cittadini nella Pubblica amministrazione“.
Cantone osserva che “in passato la politica si muoveva alla pari rispetto alla mafia, mentre oggi svolge un ruolo ancillare. E, come dimostra anche Mafia capitale, oggi i politici vengono coinvolti nelle trame mafiose non per interessi di partito ma prettamente personali“.
Quel che accade da sempre (ndr) nelle periferiche realtà regionali.