Il progetto dell’archistar prende forma.”È un’idea, l’inizio. Le tragedie non si dimenticano, si elaborano”. E intanto il governatore della Liguria, Toti, fa pressione sul governo: parlare meno e accelerare l’avvio del cantiere
Di Giusi Fasano, da Corriere.it
Il «ritratto della genovesità», per dirla con il suo autore, è uno schizzo. È il disegno del nuovo ponte trasformato in plastico. Il torrente Polcevera, la ferrovia, l’Ansaldo, le case. Tutto è al proprio posto ma invece del Morandi su quell’immagine c’è «un’idea di ponte». Renzo Piano, l’architetto degli architetti e senatore a vita, l’ha immaginata e disegnata per la sua Genova, la città in cui è nato il 14 settembre del 1937. «Dire che è un’idea progettuale è eccessivo. È soltanto l’inizio» ha detto lui presentandola al presidente della Regione Giovanni Toti e al sindaco Marco Bucci.
La non-idea progettuale è un nastro semplicissimo. Il lembo est della città è legato a quello ovest da una striscia d’asfalto che corre su tantissimi pilastri la cui forma — se guardati da nord o da sud — ricorda la prua delle navi. Niente stralli e campate corte a esclusione di quelle che passano sulla ferrovia e sul Polcevera, un po’ più lunghe. Rigore e sobrietà. O, per dirla ancora con lo stesso Renzo Piano, «un’idea di ponte che esprime anche un po’ della nostra parsimonia, del nostro atteggiamento». Non più un ponte da attraversare al buio ma costellato di altissimi steli che di notte lo illumineranno: lampioni dalla cui sommità si irradieranno luci a forma di vele. Ogni notte una regata nel buio della valle, per illuminare il ricordo di chi non c’è più. Perché quei lampioni saranno 43, uno per ciascuna delle vite schiacciate e perdute sotto le macerie del Morandi. Bruno, Melissa, Samuele, Stella, Gennaro, Mirko e tutti gli altri. Sarà impossibile passare sul ponte immaginato da Piano e non pensare almeno per un istante all’incrocio delle loro esistenze nel momento e nel posto sbagliato. Sarà impossibile a prescindere. Ma di notte, alla luce delle «loro» vele, lo sarà di più.
«Da quando è successo io non penso ad altro» ha detto ieri l’architetto all’amico Toti. «Ho aspettato un po’ prima di chiamare te e Bucci perché ero scioccato. Io stesso quel ponte l’ho percorso mille volte…». Era in montagna, Renzo Piano. Ci ha pensato notte e giorno per quasi una settimana, poi ha chiamato sindaco e presidente della Regione: «Vorrei mettermi a disposizione della mia città per dare una mano, a titolo gratuito». Ieri l’incontro in Regione, con l’immagine di quella che lui chiama «idea di ponte» e che «sia chiaro, sarà un’opera corale perché non voglio sostituirmi né a ingegneri né ad architetti che saranno chiamati a lavorare sul contesto urbano». «Adesso bisogna che la città ritrovi il suo orgoglio e il suo riscatto», ha commentato alla fine di quella riunione. Ai microfoni di Sky ha parlato di «ponti che non possono e non devono cadere». Il crollo del Morandi «è stata una botta terribile», ha detto, «però chissà che la ricostruzione non diventi un momento di solidarietà». Quello del ponte, ha detto Piano, «è un tema che tocca tutti e tutte le corde: da quella tecnologica a quella poetica». E immaginando il cantiere del nuovo viadotto ha pensato a «momenti belli perché i cantieri sono momenti che uniscono, in cui le differenze si mettono un poco da parte e nasce l’orgoglio, sono momenti di partecipazione e di idee». L’inizio dei lavori? «Bisogna fare rapidamente ma non in fretta».