In Italia sono sempre di più gli hikikomori: i giovani che smettono di andare a scuola, non escono di casa (e a volte nemmeno dalla propria stanza) e rifiutano il contatto con amici, insegnati e parenti. In altre parole, si isolano, come suggerisce il termine giapponese che significa “stare in disparte”. Quanti sono? È ancora presto per avere un quadro completo, alcune stime (non ufficiali) riportano almeno 100.000 casi. Quel che è certo è che gli hikikomori vivono più a Nord che a Sud, hanno un’età media di 20 anni e sono perlopiù maschi.
Sono solo alcuni dei primi dati statistici raccolti da Marco Crepaldi presidente dell’associazione Hikikomori Italia che si occupa dello studio del fenomeno e della creazione dei una rete di conoscenza e supporto. Si tratta di “un progetto di sensibilizzazione e informazione corretta sul fenomeno che i media – ma anche i medici – tendono a confondere con la depressione o con la dipendenza da Internet”.
Crepaldi ha raccolto testimonianze e dati nel libro appena pubblicato “Hikikomori, i giovani che non escono di casa” che rappresenta la prima indagine statistica in assoluto condotta sul fenomeno a livello nazionale. “I dati emersi sono estremamente preziosi per meglio definire la natura del problema”.
Identikit dell’hikikomori italiano
Vive al Nord – Dal sondaggio condotto da Crepaldi è emerso che quasi tutte le regioni sono rappresentate, ma vi è una netta prevalenza di partecipanti residenti nel Nord Italia, con in testa la Lombardia (15,3%), il Piemonte (14,2%) e il Veneto (10%). È però il Lazio la regione più presente in assoluto con il 18,4% del totale, percentuale che supera complessivamente quella di tutto il Sud Italia, isole comprese (14,2%). “Potremmo concludere che l’Hikikomori sia più diffuso nel nord del nostro Paese, ma, potrebbe anche trattarsi di una conclusione affrettata poiché la composizione del campione potrebbe essere stata influenzata dalla metodologia di selezione scelta”.
È maschio – Confermata appieno la maggiore incidenza sul sesso maschile, addirittura l’87,85% del campione, percentuale sensibilmente più alta di quella emersa dall’ultimo sondaggio giapponese: 63,3%. Ma questo gap potrebbe in realtà nascondere altro: “Il ruolo di genere ricoperto dalla donna nella nostra società potrebbe indurre i genitori a percepire il problema dell’isolamento sociale, qualora riguardasse la figlia, con minore sensibilità e urgenza rispetto a quanto capita per i maschi, arrivando così a segnalarlo solamente in una fase avanzata e maggiormente esplicita”.
Ha 20 anni – L’età media si attesta intorno ai 20 anni, “ma il dato più interessante è probabilmente quello relativo ai figli unici, pari al 28,5% dei casi selezionati”. Sembrerebbe questo un risultato “in controtendenza rispetto a quanto ipotizzato precedentemente, ovvero che il fatto di non avere fratelli o sorelle rappresenti un fattore di rischio nello sviluppo di problematiche legate all’isolamento sociale, dal momento che la percentuale emersa è sensibilmente inferiore rispetto a quella della media nazionale italiana corrispondente al 47,1%, secondo i dati ISTAT riferiti al 2017”. Confermata, invece, l’alta presenza di primogeniti, esattamente un terzo dell’intero campione.
In isolamento per almeno 3 anni – Anche la durata dell’isolamento è preoccupante. Solo il 14,2%, infatti, è ritirato da meno di un anno. Il 34% si trova in tale condizione da 1 a 3 anni, il 41,7% dai 3 ai 10 anni e, nel 10,1% dei casi, il ritiro si protrae da oltre un decennio. L’età media nella quale sono emersi i primi evidenti problemi di isolamento sociale è intorno ai 15 anni.
Figli di divorziati – Particolarmente interessanti, scrive Crepaldi, sono i dati circa lo stato civile dei genitori, “dove emerge un’incidenza rilevante di coppie divorziate (27,4%). In generale, oltre un terzo dei figli (39,9%) vive con solo uno dei due genitori, oppure con entrambi ma non simultaneamente, e il 19,4% delle famiglie sono composte da soli due membri”.
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