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SANITA’, INFERMIERI SINDACATO NURSING UP, DE PALMA: DOCUMENTO REGIONI SU STABILIZZAZIONE PRECARI CI ACCONTENTA SOLO A META’

IL PRESIDENTE DEL SINDACATO INFERMIERI ITALIANI ACCUSA: «C’E’ ANCORA TANTA GENTE LASCIATA FUORI E LA PREVISIONE DEL CONCORSO PER CHI HA GIA’ LAVORATO TRE ANNI AUMENTA SOLO L’AGONIA». 


«MENTRE IN REGIONI COME LA CAMPANIA AUMENTA IN MODO PREOCCUPANTE IL NUMERO DI INFERMIERI CONTAGIATI, A MOLTI PRECARI RESTA IL PROBLEMA DI UN FUTURO LAVORATIVO CERTO, ANCHE SE SONO ESPOSTI AL RISCHIO COVID OGNI GIORNO. TUTTO QUESTO PER POCO PIU’ DI MILLE EURO AL MESE, MENTRE LA GERMANIA NE OFFRE FINO A 3500 AI NOSTRI PROFESSIONISTI DELLA SANITA’ PRONTI A EMIGRARE»

ROMA 28 SETTEMBRE 2020 – Il Presidente Nazionale del Sindacato Infermieri Italiani apre, ma con doverose riserve, al provvedimento che hanno adottato qualche giorno fa le Regioni per dare il via alle procedure previste nel Decreto Rilancio: «Primo passo importante per il processo di regolarizzazione dei precari, allargate le maglie temporali per la stabilizzazione a tutto il 2020 e la platea dei destinatari ora vede compreso tutto il personale, sia dirigente che non dirigente. Ciò nonostante non vediamo nessuna reale sanatoria per quei colleghi, e non sono pochi, che vantano periodi di servizio svolto anche prima del limite dei 5 anni indicati dalle regioni, dice De Palma. Bene l’estensione della validità dei concorsi indetti fino al 2019, ma è da contestare la strada scelta per stabilizzare il personale precario: pare si tratti di una riserva “facoltativa per le aziende sanitarie”, che “possono” riservare ai precari il 50% dei posti dei concorsi. Ma perché persone che hanno già lavorato almeno per 3 anni al servizio delle aziende sanitarie necessitano ancora di “essere messe alla prova? Ci voleva proprio un concorso?

E poi non si comprende per quale ragione i posti riservati sono destinati solo al personale “in servizio alla data di pubblicazione della legge e che abbia maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi 5 anni”. Ma se le cose stanno così che fine farà tutto il personale che dopo aver lavorato anche molto più di tre anni come precario ha cessato il lavoro poco prima della promulga della legge? E che fine faranno i periodi di servizio di quel personale che ha lavorato come precario per lungo tempo ma “prima dei 5 anni indicati dalle regioni?

Non possiamo essere soddisfatti. Con questo documento, ancora non vediamo nessuna organica risoluzione definitiva per le problematiche che ci attanagliano da tempo immemore. Non si intravede nemmeno lontanamente quell’agognato riconoscimento di ruolo a livello contrattuale e quella dignità professionale che meritiamo e chiediamo da anni. Insomma, stiamo attraversando un momento delicatissimo in cui noi infermieri, siamo esposti inevitabilmente di nuovo al rischio di contagio. Si prenda la Campania: i nuovi casi di professionisti sanitari affetti da Covid e rimasti contagiati sul posto di lavoro, a Castellammare, dopo quelli di Napoli, devono far riflettere. E poi, vediamo sempre più spesso giovani senza esperienza o precari di lungo corso, stanchi e logorati, mandati in campo contro “il nemico” per poco più di mille euro al mese. Ma dove siamo finiti?

E intanto il resto d’Europa pare almeno in parte avere compreso le esigenze e l’impegno degli infermieri, con la Germania che fa letteralmente “la spesa” in Italia mandandoci le sue agenzie con l’incarico di cercare, proprio in questi giorni, diverse decine di infermieri a cui offrire fino a 3500 euro al mese e addirittura la formazione linguistica retribuita.

E allora perchè i nostri giovani a questo punto dovrebbero rimanere in Italia con la prospettiva di un futuro lavorativo così meschino, rischiando anche la propria vita per una paga misera?

La nostra, come sindacato, rappresenta una presa di posizione concreta.

Per questo, mentre la Campania rischia di implodere e la Germania rappresenta l’isola felice, noi scendiamo in piazza il 15 ottobre e scioperiamo il 2 novembre prossimo, non c’è altra soluzione, per urlare la nostra rabbia e la nostra legittima frustrazione», conclude De Palma.

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