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Sanità: «Nella sola Lombardia mancano 1200 infermieri nel sempre più disastrato mondo delle Rsa. Una voragine profonda»

«L’emergenza legata alla carenza di infermieri nella sanità privata ha toccato, in queste ultime settimane, livelli di gravità senza precedenti nel nostro Paese. Attraverso i nostri referenti di Lombardia e Veneto, raccogliamo indirettamente il grido di allarme di numerose realtà legate al mondo no profit e all’associazionismo che si occupano di strutture con soggetti fragili e malati cronici, che denunciano come quella che fino a ieri era una situazione quasi insostenibile, oggi è diventata una voragine profonda che rischia di essere insanabile.

In Italia siamo giunti all’acme di un problema che affonda le sue radici nel pressappochismo e nella superficialità delle relative gestioni. Laddove ben prima dell’emergenza Covid era necessario rinfoltire gli organici, le amministrazioni interessate hanno decisamente fatto “orecchie da mercante”. Con l’emergenza sanitaria e l’acuirsi dei turni massacranti degli infermieri nelle Rsa, che hanno fatto il paio con paghe come sempre poco edificanti, è proseguita quindi inesorabile l’emorragia di personale che dalle realtà private continua a chiedere oggi di fare rientro negli ospedali pubblici, nonostante non si tratti certo di isole felici, e sappiamo bene quali quali siano le carenze strutturali in cui lavorano gli infermieri pubblici, ormai da tempo immemore».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«I nostri referenti ci riferiscono di un buco profondo di ben 1200 infermieri nelle sole Rsa della Lombardia.

Invochiamo da tempo, come sindacato nazionale degli infermieri, l’eliminazione del vincolo di esclusività per i colleghi dipendenti e la possibilità di allargare tutte le attività degli stessi anche alle aziende private. Parliamo di una libera professione che rimane un obiettivo fondamentale da perseguire per il bene della sanità italiana, per il futuro di una popolazione sanitaria sempre più avanti con l’età e a rischio di patologie croniche.

E’ necessaria una solida collaborazione tra sanità pubblica e privata, facendo perno sulla sempre più forte e indispensabile specializzazione del personale.

Che fine ha fatto il piano di assunzioni capillari, da noi più volte richiesto, che avrebbe dovuto sostenere il macigno dei ricoveri e dei contagi durante la pandemia? Abbiamo o non abbiamo toccato 80mila unità mancanti di professionisti nella realtà infermieristica italiana? Qualcuno lo ha dimenticato o fa finta che questi dati non esistano?

Per non parlare della complessa realtà della sanità privata lombarda, legata in gran parte al mondo no profit, dove registriamo la denuncia di chi lamenta la fuga di infermieri verso le realtà ospedaliere pubbliche anche nel momento più difficile, quello appunto del Covid, quando i malati delle Rsa avevano più bisogno e con i contagi in atto nella Regione in assoluto più vessata dal virus. In questo caso Aci Welfare Lombardia e Confcooperative Federsolidarietà Lombardia denunciano che, solo durante la campagna vaccinale, le Rsa lombarde avrebbero perso centinaia di infermieri ingaggiati per le somministrazioni.

Ma per quale ragione un collega allora dovrebbe scegliere di lasciare le strutture private per tornare negli ospedali che, come appare chiaro non vivono certo situazioni idilliache? Perché si è accorto, spostandosi a lavorare nel privato, di essere finito dalla padella alla brace, questo è evidente!

Triste ma ahimè veritiero! Lo dicono i fatti: strutture per anziani e disabili con addirittura un solo infermiere ogni 60 pazienti! E’ qui che gli infermieri dipendenti sui quali già possiamo contare, liberati dai lacci e laccioli del vincolo di esclusività, incamminati lungo la strada della libera professione, potrebbero offrire il loro supporto e la loro esperienza, sostenuti da una coeva ed indispensabile valorizzazione della categoria, a partire dal percorso di studi.

Perché abbiamo bisogno dei ricambi generazionali, perché occorrono le nuove leve, perché la sanità al di fuori della realtà ospedaliera, quella che include ad esempio le strutture per anziani e i centri per disabili, ha bisogno sempre di più di personale qualificato, formato anche in modo specifico a seconda delle necessità dei malati e delle loro patologie, e forte di un aggiornamento costante e continuativo anche dopo la laurea».

 

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