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Scuola, sette genitori su dieci non sanno come si ripartirà

ROMA – I genitori italiani non sanno come torneranno a scuola i loro figli. In presenza? A distanza? Con i banchi ristretti? Sotto un tendone alzato dalla Protezione civile? Due su tre, sì, conoscono la data della partenza dell’anno scolastico nella propria regione, nella maggior parte resta il prossimo 14 settembre, ma sette su dieci (il 68 per cento) non hanno ancora ricevuto indicazioni dal dirigente scolastico, dalla rappresentante di istituto o di classe.

Lo rivela una ricerca di Save the children – “La scuola che verrà: attese, incertezze e sogni all’avvio del nuovo anno scolastico” – che si affida a una rilevazione di Ipsos. Già, incertezze. In molti casi panico. Solo una famiglia ogni quattro, al momento delle rilevazione, sapeva che la classe del proprio figlio sarebbe stata divisa in gruppi. Sì, il 70 per cento dei genitori ha preoccupazioni sulla ripartenza, e questo è un dato facile da immaginare. Diventa interessante, attraverso questa ricerca, capire nel dettaglio che cosa preoccupa gli adulti italiani a proposito della scuola 2020-2021.
 

Metà delle famiglie teme per il distanziamento

Il 60 per cento teme il modo in cu si ripartirà: non lo ha ancora capito. Il 51 per cento ha paura che non sarà rispettato il distanziamento fisico, il metro di distanza, e il 37 per cento è preoccupato dalle variazioni dell’orario di entrata e di uscita da scuola: potrebbero non essere compatibili con gli impegni di lavoro dei grandi. Si sale al 45 per cento per chi ha figli di 4-6 anni: gli orari della scuola dell’infanzia sono ancora più importanti per la gestione della giornata di una famiglia. L’affidamento ai nonni e la rinuncia al lavoro (o la riduzione dell’orario lavorativo) sono le due alternative maggioritarie di fronte a ingressi-uscite da scuola non gestibili.

Le difficoltà di apprendimento, poi, acuite dai lunghi mesi di lockdown. Quasi tutti gli studenti sono stati ammessi alla classe successiva senza debiti, ma un genitore su cinque (il 18 per cento) ritiene che il proprio figlio non sia pronto ad affrontarne il programma a causa della perdita di apprendimento. La maggioranza degli alunni (6 su 10) ha riscontrato difficoltà nell’apprendimento a distanza imposto dal confinamento. Guardando nel dettaglio i voti, due terzi hanno mantenuto inalterata la propria performance, un quinto ha registrato un miglioramento nelle valutazioni conseguite a fine anno (più di un quarto nel caso degli studenti delle scuole superiori), il restante 15 per cento ha riportato voti peggiori. In generale, c’è stata una benevolenza nella valutazione finale da parte dei docenti italiani.

E poi le condizioni economiche peggiorate negli ultimi mesi, il rientro a scuola ha a che fare anche con questa nuova emergenza. Un genitore su dieci ritiene di non poter acquistare tutti i libri scolastici, sette su dieci sono angosciati dalla possibile sospensione del servizio mensa. Due su dieci non potrebbero proprio permetterselo (i dati più forti sono in Calabria). I primi effetti di questa situazione si fanno sentire sulle scelte scolastiche: l’8 per cento dei genitori intervistati dichiara che il proprio figlio pensava di iscriversi al liceo ma, a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando la famiglia, ha scelto un indirizzo professionale.

D’altro canto, il 63,9 per cento degli alunni – prima dell’emergenza Covid – frequentava istituti che non offrivano il tempo pieno, mentre il servizio di ristorazione scolastica era presente in poco più della metà delle scuole italiane (56,3 per cento).

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Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, dice: “La scuola è il luogo dove si combatte, in prima linea, la battaglia contro la povertà educativa. L’obiettivo oggi da porsi non è tornare alla condizione pre-crisi, ma compiere un deciso passo in avanti sul diritto all’educazione di qualità per tutti, superando le gravi diseguaglianze che si sono consolidate in questi anni. Servono istituti sicuri, aperti tutto il giorno, accoglienti verso chi affronta maggiori difficoltà e in grado di far fronte alle crisi presenti e future. Sul tasso di dispersione scolastica e di povertà educativa si misurerà il successo o il fallimento dell’intera politica di ripartenza del Paese”.

rep

“Spendiamo più in debito che sull’istruzione”

L’Italia spende per l’istruzione e l’università il 4 per cento del Prodotto interno lordo (ultimo dato disponibile, 2018) rispetto al 4,6 per cento della media Ue. Con gli 8 miliardi di euro tagliati in tre stagioni dalla Riforma Gelmini, la spesa per l’istruzione è crollata dal 4,6 per cento del 2008 al 4,1 per cento del 2011, fino al minimo storico del 2016-2017: 3,9 per cento. Dal 2011 al 2016 l’Italia ha speso più in interessi sul debito che sull’istruzione.

Save the Children a giugno scorso ha lanciato il programma “Riscriviamo il Futuro”, con l’ambizione di raggiungere 100 mila bambini e adolescenti sul territorio nazionale e le loro famiglie, nei prossimi quindici mesi.

Fonte www.repubblica.it

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