Sono iniziate questa mattina all’alba le operazioni di sgombero della baraccopoli di San Ferdinando. Un provvedimento che si è reso necessario specie dopo i vari incendi, che si sono verificati nel campo, e nei quali hanno perso la vita dei giovani migranti. L’ultimo si è verificato proprio meno di un mese fa.
In realtà non è la prima volta che si cerca di smantellare la baraccopoli nella quale per anni hanno trovato rifugio, in alloggi di fortuna costituiti da tende, cartoni e lamiere arrugginite, extracomunitari che giungono come braccianti nel territorio del reggino per essere impegnati stagionalmente nella raccolta delle arance, clementine e kiwi. Dei tentativi, quelli passati, che in realtà non hanno portato ai risultati sperati.
Oggi, invece, circa 900 sono stati i migranti che già dalle prime ore del giorno sono stati trasferiti nei centri Cas (Centri di Accoglienza Straordinariae) e Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) o nella vicina tendopoli allestita dalla Protezione civile della Regione Calabria, mentre le loro baracche venivano demolite dalle ruspe dell’Esercito Italiano. Altri, invece, nei giorni scorsi, in vista dell’appuntamento odierno, hanno preferito far perdere le loro tracce per paura di essere trasferiti in luoghi lontani e quindi di poter perdere il lavoro. Un’occupazione, spesso in nero, che gli permette di guadagnare solo pochi euro al giorno, ma che tuttavia rappresenta l’unica loro fonte di sussistenza.
Centinaia le forze dell’ordine presenti allo smantellamento della baraccopoli in tenuta antisommossa, mentre un elicottero per tutta la durata delle operazioni ha sorvolato l’area; anche se non si sono segnalati disordini o sollevazioni da parte dei migranti davanti alla distruzione di quel luogo dove per anni hanno vissuto tra l’ immondizia, in condizioni igienico-sanitarie ai limiti della sopravvivenza e dove la dignità umana è stata a lungo calpestata.
Tuttavia, la paura che resta è che il prossimo anno, con l’avvio della raccolta degli agrumi, la baraccopoli possa risorgere dalle proprie ceneri.
Mara Teresa Bagalà