Non solo Vesuvio, caffè, pizza, mandolino e “O sole mio”: Napoli resta la capitale mondiale della contraffazione di banconote false. 161.572 “tagli” da 20 e 50 euro ritirati nel solo 2017. Ma Totò e Peppino erano dilettanti
Non solo Vesuvio, caffè, pizza, mandolino e “O sole mio”: Napoli resta la capitale mondiale della contraffazione di banconote false. Una tradizione consolidata dal primo dopoguerra, ma forse ben più antica. L’80% delle banconote false nel mondo proviene dal capoluogo partenopeo, come confermato da Bankitalia e dall’ Anm (il nucleo Anti-falsificazione monetaria dei carabinieri).
Il business – che per questioni di logistica negli ultimi anni si è “delocalizzato” nella provincia casertana – fa registrare numeri da record: solo qualche mese fa sono stati sequestrati 41 milioni di euro in tagli da 100 e 50. E, secondo i dati della banca centrale, nel 2017 il numero di banconote false tolte dalla circolazione è cresciuto del 10% (e del 17,1% nel secondo semestre): sono stati ritirati 161.572 “tagli” da 20 e 50 euro.
Otto banconote fasulle su dieci, scrive “La Stampa”, sono “made in Naples”, non tutte ovviamente sono prodotte materialmente in riva al Golfo e in Terra di lavoro, ma sopra ogni cosa c’ è il know-how, ovvero la famosa “Scuola napoletana”, che in Europa è conosciuta come «The Napoli Group», un brand di eccellenza (falsari di diverse nazionalità vengono a imparare dai maestri campani).
«È gente abilissima e pericolosa. Abbiamo chiuso un numero infinito di stamperie, zecche e laboratori ma ogni giorno è una nuova sfida», dice il colonnello Francesco Ferace, comandante dell’ Afm. Insomma, niente a che vedere con le avventure cinematografiche del trio Totò, Peppino, Giacomo Furia (“La banda degli onesti”, 1956). Qui si tratta di specialisti che si misurano con l’alta tecnologia di filigrane, microscritture e ologrammi, al punto da ingannare persino i bancomat. D’ altra parte a Napoli la contraffazione delle griffe è sempre stata da primato, che si tratti di scarpe o borse, occhiali o pezzi di ricambio (11 milioni di beni di consumo sequestrati dalla Finanza nel 2016).
Secondo il Censis: «È la provincia italiana in cui si sequestra più merce falsa. È un territorio dove il senso civico e la cultura della legalità risultano particolarmente deficitari. Ciò induce all’errata percezione che produzione e vendita di merce falsa non siano un crimine». La camorra, poi, da tempo si è infiltrata in tutta la filiera, dall’acquisto degli opifici alla distribuzione finale, usando i propri negozi (gestiti da prestanome) o magari con l’ imposizione dei prodotti ai già vessati e taglieggiati commercianti.