E’ la storia di Pasquale Palumbo, gestore di un bar, condannato a 30 anni di reclusione per omicidio, solo perché la cella del telefono prestato al fratello lo localizzava nel punto dove era avvenuto il fatto. Un incubo.
Sei anni in carcere da innocente per colpa di un telefono cellulare. Un inferno lungo sei anni. E’ la storia di un uomo, Pasquale Palumbo, che era stato ritenuto colpevole di omicidio perché il suo telefono era agganciato alla cella nella zona dove era stato ucciso un uomo, precisamente nella località di Bereguardo, in provincia di Pavia. Dopo sei anni chiuso in cella, Pasquale, è finalmente tornato libero. Incubo finito, quindi, fedina penale pulita e la possibilità di tornare a casa.
Un calvario iniziato nel 2003, quando il 51enne Gianluigi Lombardo venne trovato morto carbonizzato all’interno di un’ auto. Il giudice stabilì che si trattava di un delitto con movente passionale, incriminando il figlio della vittima e i tre fratelli Palumbo (Giovanni, Claudio e Pasquale). Il primo, che aveva deciso di confessare, venne condannato a 16 anni con il rito abbreviato, mentre per i fratelli Palumbo la pena stabilita era di 30 anni.
Pasquale Palumbo, che di lavoro gestisce un bar a Savona insieme a moglie e figli, aveva ammesso di conoscere l’omicida, ma nei due processi contro di lui non era riuscito a convincere la giuria della sua innocenza. Dopo una prima condanna all’ergastolo, poi annullata dalla Corte di Cassazione, era arrivata una nuova sentenza, stavolta con una pena di 24 anni. Sembrava un vicolo cieco, una strada senza uscita. invece adesso, dopo un nuovo ricorso, finalmente è arrivata la cancellazione definitiva.
Palumbo si era sempre dichiarato innocente e, in effetti, sul luogo dell’omicidio non vi erano state rinvenute le sue tracce biologiche e nemmeno era collegabile al movente passionale. L’unica prova contro di lui era il telefono cellulare, che aveva prestato al fratello, che in quel momento si trovava nella zona in cui è stato commesso l’omicidio.