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Un’attività commerciale o professionale che offre i suoi servizi sul mercato non può pretendere di sottrarsi al giudizio del pubblico. Con questa motivazione il tribunale civile di Roma (con due pronunce diverse) ha dato torto al titolare di una clinica di chirurgia estetica (condannato a pagare le spese legali) che sosteneva di avere il diritto che la sua attività non fosse visualizzata e recensita dagli utenti nella scheda My Business, perché considerava alcune recensioni diffamatorie e voleva che che Google fosse ritenuta responsabile in quanto hosting provider ‘attivo’.
Che cosa è My Business
My Business che permette di visualizzare, tra i risultati di ricerca, una scheda con le informazioni su un’attività commerciale e le recensioni degli utenti. Secondo quanto spiegato dallo studio legale che ha assistito Google, “il tribunale ha sottolineato come la creazione di schede che includono informazioni generali su un’attività commerciale e permettono la memorizzazione di recensioni è tutelata dalla libertà di impresa di Google ed è funzionale alla piena esplicazione della libertà di espressione degli utenti. La pretesa di non comparire su una piattaforma di recensioni si pone in aperto contrasto con quei principi costituzionali e non ha fondamento giuridico”.
Il servizio My Business, oltre ad essere “automatico e gratuito”, consente comunque al titolare dell’attività commerciale/professionale “di replicare” alle recensioni dei clienti/pazienti.
Le colpe che Google non ha
Per il tribunale “Google, oltre a non essere responsabile per le recensioni create dagli utenti, non ha nemmeno l’obbligo di rimuoverle su mera diffida di parte: infatti, il bilanciamento tra le libertà di espressione e la reputazione di un soggetto deve essere svolto dall’autorità giudiziaria, non dal provider, che può e deve rimanere “inerte” sino a che una decisione di un tribunale, svolto il bilanciamento in questione, ordini la rimozione o la disabilitazione di un determinato contenuto”.
Lo stesso tribunale ha escluso che un provider come Google possa essere destinatario di “inibitorie in bianco” o “pro futuro”, violando tali pretese il divieto di imporre al provider obblighi di filtraggio e ricerca attiva”. In ogni caso, al di là del fatto che non è stato ravvisato alcun contenuto diffamatorio nel caso di specie, perché le recensioni negative (quattro) che il chirurgo plastico ha ritenuto lesive della propria reputazione rientrano nel diritto di critica, “quale espressione del principio costituzionalmente garantito della libertà di manifestazione del pensiero”, resta che “sussiste un obbligo di Google – ha aggiunto il tribunale – di deindicizzare o rimuovere contenuti solo dove siffatte attività siano richieste dall’autorità giudiziaria, essendo pertanto la società sollevata dall’obbligo di controllo preventivo”.
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