«Nell’espressione “architettura forense”, “architettura” comprende molte cose: oggetto dell’investigazione, metodologia d’indagine, mezzo di presentazione dei risultati. […] Abbiamo gradualmente maturato qualcosa in comune con gli oggetti delle nostre indagini: non importa essere edificio, territorio, fotografia, pixel o persona; essere sensibile significa conservare su di sé tracce del mondo circostante, interiorizzarne i campi di forza e trasformarsi, che a sua volta significa sentire dolore.»
Quello di Weizman è un saggio urticante che indaga e approfondisce come sia cambiato, al passo con le nuove tecnologie, il ruolo del testimone degli eventi più crudi, prospettando nuove modalità in cui la prassi dell’architettura forense può rendere testimonianza attendibile delle violenze di Stato perpetrate nei contesti legali e politici più diversi.
Com’è possibile far sparire le tracce della violenza dalla scena del crimine servendosi di un’immagine via satellite?
Questa è la denuncia di Eyal Weizman a proposito delle nuove tecnologie digitali.
Utilizzata nell’investigazione architettonica forense, la fotografia satellitare risente infatti di un grave limite di risoluzione,la cosiddetta “soglia di percepibilità“:
la risoluzione massima imposta alle immagini satellitari di dominio pubblico non consentirebbe di distinguere nulla di più piccolo di un singolo pixel. Ne deriva che qualsiasi prova di bombardamento e indizio di antropizzazione entro un’area quadrata di mezzo metro possono essere occultati o addirittura contestati in tribunale.