IL NUOVO LIBRO DEL PROFESSOR TARRO, PRESIDENTE DELLA NORMAN ACADEMY
Leggendo l’introduzione dell’ultimo libro di Giulio Tarro, “Una medicina per la gente” si rimane folgorati. L’illustre virologo e scienziato scrive: il rapporto con la nostra salute è “oggi scandito da cataste di analisi e screening spesso inutili, in qualche caso controproducenti. Da fiumi di acqua minerale bevuti nell’illusione che siano capaci di chissà quale effetto benefico; dai sempre più numerosi psicofarmaci somministrati a bambini e adolescenti considerati ‘iperattivi’ e quindi ‘malati’ . E questo mentre la progressiva privatizzazione del sistema sanitario impedisce a milioni di persone l’accesso alle più elementari cure”.
E’ un libro duro, durissimo contro i soloni della medicina, contro le baronie e l’ignoranza. Ma è anche un libro di letteratura e di filosofia, condito da citazioni superbe, intriso di spiritualità. Di interrogativi di un medico che si pone verso l’uomo nella sua interezza di corpo e di spirito. Un libro fatto di “forse”, che è, come scrive Leopardi citato dal professor Tarro, “la parola più bella del vocabolario perché apre delle possibilità, non delle certezze. Non cerca la fine, ma va verso l’infinito”.
E questo libro sembra andare proprio verso l’infinito, si interroga sulle grandi questioni dell’uomo: vita, morte, malattia. Ti fa apparire la professione del virologo sotto un’altra luce, quella dell’intimo legame fra esseri viventi intravisto da Lucrezio, nel suo “De rerum natura”: “Una sorte di comunione – scrive Tarro – in cui salute e malattia sono tappe di quel percorso, di quel continuo trasformarsi che chiamiamo evoluzione”.
Dodici capitoli, 130 pagine. E ogni capitolo è un viaggio nella conoscenza, uno svelamento di tutte le difficili battaglie, che hanno visto il professore protagonista, per affermare la scienza contro l’oscurantismo, contro i luoghi comuni, contro la ricorrente frase “si è sempre fatto così, perché cambiare?”.
Ecco, proprio questo atteggiamento è, spiega il professor Tarro, il più contrario alle scoperte scientifiche, perché, come diceva Einstein “la capacità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte alla natura è la caratteristica fondamentale dello scienziato”. E’ fondamentale nella ricerca, scrive il virologo pluricandidato al Nobel, “divertirsi”. Dal latino “divertere”, volgere altrove, in direzione opposta alla solita: “Sterilizzare la fantasia, costringere la mente entro regole consolidate per pigrizia mentale è una delle maledizioni che affligge il mondo della ricerca scientifica e della cultura in generale”. E cita i quiz a risposta chiusa, sempre più utilizzati nella scuola come “quanto di peggio esista per stimolare il pensiero creativo”.
Fondamentale, invece, per scoprire ciò che non si sa, è il “pensiero laterale”, che prevede “l’osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema”.
Tarro si richiama a illustri maestri, come Marie Curie, che diceva: “Uno scienziato in laboratorio non è solo un tecnico: si trova di fronte alle leggi della natura come un bambino di fronte al mondo delle fiabe”. E scrive: “L’incedere della conoscenza è motivo di ulteriore meraviglia, accresce la percezione del carattere inesauribile del reale”. E ancora: “Una tenace tradizione ha identificato l’opera della scienza moderna con il disincanto. No, la più bella emozione è il senso del mistero. L’uomo che ha perso la facoltà di meravigliarsi è morto o cieco”.
Quindi scienza e bellezza, scienza e arte sono più vicine di quanto si immagini: “Producono saperi complementari perché il mondo è complesso. Scaturiscono dalla struttura psicobiologica degli esseri umani immersi nel contesto sistemico della natura”.
Ed ecco anche Kerouac, citato nel libro: “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”. Questo è il compito di uno scienziato, di un ricercatore: andare sempre oltre, in una ricerca incessante della conoscenza. Che non è una divinità definita una volte per tutte.
Troppi i casi combattuti dal professor Tarro, in cui il rifiuto di capire unito agli interessi economici in gioco, ha prodotto catastrofi. A partire dal “male oscuro”, che colpì Napoli nel 1978-1979. La causa era il virus respiratorio sinciziale, individuato presto da Tarro, ma non preso in considerazione. Tanti errori da parte delle autorità mediche, che chiedevano notizie all’Oms, invece di guardare molto più vicino, a Napoli. Campioni biologici tenuti troppo a lungo negli armadi, anziché essere inviati subito ai laboratori. Solo dopo mesi si riconobbe che Tarro aveva ragione.
Come sulla vivisezione. Già Sabin, il maestro del professor Tarro, disse che l’invenzione del vaccino antipolio fu ritardata da esperimenti animali fuorvianti. Funzionavano sulle scimmie, ma storpiarono o uccisero i pazienti. Negli anni ’80 parlare di diritti di animali sembrava un’eresia: “Significava litigare coi colleghi, perdere finanziamenti, progetti di ricerca. La domanda era ‘meglio che muoia una scimmia o un bambino?”
Ci sono voluti decenni di battaglie e il coraggio di un medico controcorrente come Giulio Tarro, impegnato con associazioni animaliste, perché si riconoscesse l’orrore e spesso l’inutilità degli esperimenti sugli animali.
In un altro capitolo, si affronta la questione dei test genetici, che promettono di diagnosticare l’insorgere o la predisposizione di circa 1300 patologie. Ormai ci sono persino i kit genetici fai da te su internet. Utili, ma si pone un grave problema di etica perché, sempre più spesso, vengono impiegati in campi come assicurazioni e assunzioni. Vengono scartate quindi persone geneticamente predisposte a gravi malattie. E’ giusto tutto ciò? Ed è giusto non assumere una persona perché fra decenni potrebbe ammalarsi? Quando, magari sarà trovata la soluzione all’ipotetica patologia.
Tarro analizza anche le varie “epidemie” che non molti anni fa hanno scatenato il panico e decisamente sopravvalutate: Sars, influenza suina, aviaria, mucca pazza. Perché tanto catastrofismo non supportato dalla realtà? Strategie di marketing da parte di aziende farmaceutiche? Corsa all’audience da parte dei media? Difficile rispondere, ma di sicuro certe previsioni non avverate hanno creato sfiducia nella classe medica.
E qui si arriva alle vaccinazioni, all’obbligatorietà dell’immunoprofilassi. Tarro, figlioccio di Sabin, non mette certo in discussione l’importanza dei vaccini, ma la campagna terroristica scatenata contro chiunque ponga dubbi. Perché Sabin gli ha lasciato una grande lezione di vita: mai additare come asini altri ricercatori con opinioni diverse. Il dubbio è il motore del progresso, non può essere sanzionato fino ad arrivare alla radiazione di un medico come Roberto Gava, che ha sollevato perplessità sull’obbligo di alcuni vaccini.
Ecco a voi, dunque, Giulio Tarro, presidente, fra le sue molte cariche, della Norman Academy: uno scienziato che ha fatto della “curiosità” e del dubbio, del suo essere sempre in direzione “ostinata e contraria”, una scelta di vita, che aborre il delirio di onnipotenza di alcuni medici e la figura del medico come terminale delle case farmaceutiche. Un ricercatore attento all’uomo e al malato, perché, come disse san Giuseppe Moscati, medico napoletano morto nel 1027, citato nel libro: “Il medico si trova in una posizione di privilegio, perché si trova spesso a cospetto di anime che stanno per capitolare e ansiose di trovare un conforto. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo”.
di Barbara Pavarotti
Ndr. “Una medicina per la gente” è stato presentato a Roma, al caffè letterario Horafelix, il 7maggio 2019. Insieme al professor Tarro, accompagnato dal Gran Priore don Riccardo Giordani di Willemburg, è intervenuto il presidente del Codacons, l’avvocato Gianluca Di Ascenzo.