Foto di Giacomo Menini
Sanatorio di Sondalo
Nei giorni in cui si torna a parlare di tubercolosi, il museo dei sanatori, a Sondalo, apre una finestra su una malattia che nel secolo scorso era endemica e costringeva migliaia di pazienti a lunghe degenze in luoghi come questo, ancora attivo come ospedale, con i suoi lunghi padiglioni costruiti sui pendii dell’alta Valtellina ed esposti a sud.
Il museo, aperto nei mesi estivi e su appuntamento, racconta la storia di un luogo speciale, dove per decenni tante persone sono guarite dalla tubercolosi grazie all’aria alpina. Tanto da fare di Sondalo l’unico comune della zona a non soffrire, nel dopoguerra, del fenomeno dell’emigrazione.
Come ha spiegato all’Agi la fondatrice e direttrice del museo, la geofilosofa Luisa Bonesio, “non solo gli abitanti sono circa raddoppiati in 40 anni (da circa 3 mila nel 1931 a quasi 6 mila nel 1971, e ora sono 4 mila, ndr), ma il paese è cambiato dal punto di vista dell’insediamento: era una manciata di case e man mano si è ingrandito”.
Sanatorio di Sondalo
Il complesso di Sondalo, il “Villaggio Sanatoriale Morelli” è ancora adesso impressionante per dimensioni e architettura, grazie alla sua decina di palazzi in stile razionalista, con terrazze lunghissime programmate per far stendere al sole il maggior numero di malati, oltre ad altri edifici di servizio, collegati con tunnel e teleferiche, e separati da giardini perfettamente curati.
Negli anni d’oro ospitava centinaia di pazienti nei suoi padiglioni, con le lunghe terrazze e il giardino curatissimo che rappresentava uno degli aspetti della cura. Ma la storia più interessante raccontata dal museo non riguarda la sua funzione terapeutica, ma quella di nascondiglio di opere d’arte durante la seconda guerra mondiale, prima ancora che cominciasse a funzionare da sanatorio.
“Sarebbe una bella trama di film” racconta Luisa Bonesio, “C’erano i bombardamenti angloamericani su Milano, che avrebbero distrutto Brera e tante altre cose. Dopo uno scambio di lettere fra il sovrintendente di Brera, lo storico dell’arte Guglielmo Pacchioni, e il direttore tecnico del sanatorio, lo stesso Ferrari, organizzarono il trasferimento di alcune importanti opere d’arte (Tintoretto, Carpaccio, Gentile Bellini, fra gli altri autori), ma anche di beni etnografici e antiquari, da Brera ed altri musei milanesi, come quello del Castello visconteo, e lombardi, come le pinacoteche di Brescia e Bergamo”.
Del resto c’era spazio: il villaggio era stato appena terminato ma la guerra ne aveva impedito l’apertura, che sarebbe avvenuta solo nel 1947.
Il maggiore che si voltò dall’altra parte
“C’era solo una guarnigione medica dell’esercito tedesco che si stava ritirando “, spiega ancora la studiosa, “Dobbiamo immaginarci questo scenario lontano dal fronte di guerra e, come dire, immobilizzato nel tempo: i quadri e le altre opere giunsero di nascosto, trasportati su filocarri che percorrevano la stessa strada per arrivare alle dighe di Cancano, sopra Bormio”.
Foto di Giacomo Menini
Sanatorio di Sondalo
Il fatto è che, secondo Bonesio, sarebbe difficile immaginare l’ufficiale tedesco, il maggiore Evers, incaricato di gestire l’ospedale, che non si accorge di nulla. Ma in realtà si trattava di un appassionato d’arte e “ci piace immaginare che decise di non riferire ai suoi superiori del tesoro nascosto”.
Dell’operazione erano a conoscenza solo l’ingegner Ferrari e i tre operai che realizzarono un nascondiglio segreto in un’intercapedine del settimo padiglione. Quindi quello che si può pensare è che quell’ufficiale abbia fatto finta di non vedere. Ma perché? “Questa è la cosa interessante: perché questo maggiore era in realtà, nella vita normale, prima della guerra, un professore di storia dell’arte italiana che aveva vissuto molto in Italia studiando soprattutto l’arte toscana. Noi non sapremo mai se sapeva effettivamente ma sta di fatto che probabilmente qui c’è stata una collaborazione non dichiarata”.
Comunque “dopo la guerra, scampato il pericolo che anche i partigiani, nei giorni finali, potessero danni al villaggio e alle opere nascoste (lo stesso Ferrari era un capo partigiano), con il loro inventario minuziosissimo vengono restituite indenni ai rispettivi musei”.
Arrivano, finalmente, i malati. Centinaia e centinaia, con le loro famiglie e portando con sé un esercito di infermieri e personale specializzato. Per la zona è la prosperità modesta e guadagnata che è tipica dell’Italia dell’epoca.
foto Roberto Trabucchi
Sanatorio di Sondalo
Una volta debellata la Tbc, grazie alla scoperta di un antibiotico mirato e al miglioramento generale delle condizioni di vita degli italiani, il Villaggio Morelli perde inevitabilmente di importanza a partire dagli anni ’70 e ora solo pochi padiglioni sono ancora utilizzati come ospedale (con un buon reparto di pneumologia, unico lascito della precedente tradizione).
Il Museo dei Sanatori è ospitato dove si trovava l’accettazione: un edificio rotondo pensato per rassicurare, con la sua forma perfetta, circa l’efficacia della cura. Oggi vi sono esposti oggetti e documenti sul Villaggio Morelli, e rende molto bene l’intreccio fra storia dell’architettura, storia della medicina, storia dell’arte e storia sociale, di cui questo luogo particolare è stato testimone. Ecco l’intervista che ha rilasciato all’Agi.
Com’è nata l’idea del museo?
“Tutto è cominciato dieci anni fa, dalla mia ossessione di valorizzare questi complessi sanatoriali incompresi: ho trovato una buona collaborazione con il Comune, e ho cominciato a fare conferenze nella provincia. Già in quell’anno abbiamo avviato un programma di visite guidate da esperti. Penso che per capirlo ci vogliano gli strumenti che i vari architetti, storici dell’arte, botanici, studiosi di paesaggio possono fornire facendo percorrere percorsi diversi all’interno del Villaggio Morelli. Il successo di queste visite ha portato poi all’idea del museo, con il restauro dell’edificio che era la portineria centrale e accettazione. Il museo è stato inaugurato nel 2015 e l’anno scorso abbiamo aperto la seconda parte”.
Come è cambiato il comune di Sondalo con la costruzione del Sanatorio?
“Non solo gli abitanti sono circa raddoppiati in 40 anni, ma il paese è cambiato dal punto di vista dell’insediamento: era una manciata di case e man mano si è ingrandito. Il cambiamento ha riguardato soprattutto la composizione sociale e culturale, perché sono arrivate persone da varie parti d’Italia sia come ricoverandi, che venivano prevalentemente dal sud ma anche dalle aree industriali naturalmente sia come immigrazione di forza lavoro: tutti gli operai che hanno costruito il villaggio, i medici, gli infermieri ma anche la manodopera come cuochi, barellieri, impiegati”.
“Questo centro medico altamente qualificato era a livelli europei e sicuramente è stato un’attrazione per una immigrazione che ha cambiato anche la faccia del paese. Abbiamo trovato di recente il piano regolatore che fu steso nel 1958 dall’ingegnere Luigi Ferrari, il primo direttore tecnico del villaggio, poi tornato a Milano ebbe l’incarico del piano regolatore di Sondalo”.
“È molto interessante la relazione iniziale dove spiega il cambiamento in termini demografici ma soprattutto di esigenze della popolazione: c’è stata una modernizzazione molto repentina di un paese che era rimasto fermo in modo atavico e che invece è diventato non so quanto consapevolmente un centro di modernizzazione”.
“Di cose ne abbiamo tantissime nei depositi il problema è che lo spazio è limitato. Nel piano inferiore c’è uno spazio per le mostre e per i seminari idea di espanderci in un altro edificio la villa del direttore di fronte comporterebbe un costo molto alto di restauro e l’azienda ospedaliera non ha in questo momento come primo obiettivo quello di fare questa spesa”.
foto Roberto Trabucchi
Sanatorio di Sondalo
“Nel museo abbiamo voluto mettere anche testimonianze architettoniche che secondo noi sono la cosa più interessante. Abbiamo cercato di unire aspetto architettonico quello sanitario che anche quello sociale che figura sullo sfondo”.
E i quadri nascosti durante la guerra?
“C’erano i bombardamenti angloamericani su Milano, che avrebbero distrutto Brera e tante altre cose. Dopo uno scambio di lettere fra il sovrintendente di Brera, lo storico dell’arte Guglielmo Pacchioni, e il direttore tecnico del sanatorio, lo stesso Ferrari, organizzarono il trasferimento”.
“Il mistero riguarda il trasporto: vigeva il divieto assoluto di transito sulle strade in particolare della Valtellina, tanto che lo stesso direttore Ferrari non poteva spostarsi in macchina e abbiamo trovato un permesso del maggiore tedesco per poter andare a Milano (a 200 km di distanza, ndr) in bicicletta”.
“Noi non sapremo mai se il maggiore Evers effettivamente sapesse, ma sta di fatto che sicuramente qui c’è stata una collaborazione non dichiarata. Tanto che la sovrintendente all’epoca, Ghibaudi, che ricostruì la vicenda, concluse che si sarebbe dovuto rendere omaggio anche a questo ufficiale: se avesse voluto, avrebbe potuto fare di tutto”.
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