a cura di Sebastiano La Piscopia
C’è forse una sottile linea invisibile che attraversa il tempo e lo spazio e che conferisce direttamente ai cittadini la funzione di garanzia dei diritti fondamentali della persona.
Se è vero che “lo sguardo dell’uomo riesce a penetrare liberamente l’automatismo del mutamento storico soltanto se l’uomo stesso non guarda soltanto al presente immediato, ma alla lunga storia precedente dalla quale l’epoca sua è derivata” allora possiamo rammentare, con Elias, che la summenzionata funzione di garanzia, vividamente espressa nelle carte rivoluzionarie francesi settecentesche, affondava le sue radici nella risalente tradizione politica democratica greca che, già con le riforme Clistenee, limitò l’autorità delle tribù gentilizie sulla base della reale presenza del cittadino nel demos di residenza.
Quanto alla memorabile storia politica romana, come dimenticare che la Repubblica sostituì la Monarchia proprio quando, con i Quiriti, venne sovvertita la tradizione che fosse sì il Re a scrivere le leggi, ma che fosse il popolo a nominare il Re. L’aspro confronto dualistico tra auctoritas senatoriale e potere popolare fece quindi crescere nei secoli la consapevolezza della legittimità di una nuova stagione dei diritti.
Il Medioevo vide poi corporazioni e Capitani del popolo, il Rinascimento fu segnato da sanguinosi sconvolgimenti politico istituzionali tra Signorie nazionali e Potenze straniere ed il Risorgimento sospinse aneliti di libertà ed indipendenza sottesi dal dogma Mazziniano del popolo-nazione, ma fu solo la nostra Carta costituzionale ad unire il massimo Organo dello Stato ai cittadini, nella predetta funzione di garanzia dei diritti fondamentali della persona, tra cui quello di espressione.
A modesto avviso di chi scrive, i Padri costituenti ebbero il nobile merito di saper miscelare sapientemente le austere tinte dei contrappesi istituzionali Presidenziali alle calde tonalità dei presidi civici “di controllo” propri della sovranità popolare, creando un’opera d’arte dalle sfumature equilibrate, piuttosto lontane dalle tinte a volte forti delle mutevoli compagini politiche governative e parlamentari.
Lo stesso orizzonte politico che la Costituzione assegna al mandato del Presidente della Repubblica sembra voler indicare la necessarietà di un’interpretazione di lunga durata che resista alle esigenze, pur legittime, del mantenimento del consenso, proprie di chi agisce nell’arena politica. In tale quadro, il pluralismo della stampa libera, l’eterogeneità della libertà di espressione e la libertà di informazione rappresentano, ad avviso dello scrivente, valori costituzionali da difendere tout court.
Molto più autorevolmente, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 12 novembre 2018 ha eloquentemente affermato: “Al mattino leggo i giornali: notizie e commenti, quelli che condivido e quelli che non condivido e forse questi secondi per me sono ancora più importanti. Perché è importante conoscere il parere degli altri, le loro valutazioni. Quelli che condivido sono interessanti, naturalmente e mi stanno a cuore; ma quelli che non condivido sono per me uno strumento su cui riflettere. E per questo ha un grande valore la libertà di stampa, perché, anche leggendo cose che non si condividono, anche se si ritengono sbagliate, consente e aiuta a riflettere”.
L’efficace semplicità di queste parole pronunciate a degli studenti, evidenzia una straordinaria forza comunicativa intra vires, mentre la permeabile profondità delle stesse sottende, a sommesso avviso di chi scrive, l’attenzione per la pluralità d’informazione di chi, per dirla con Meuccio Ruini “rappresenta ed impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato, al di sopra delle fuggevoli maggioranze”. L’ordine costituzionale garantito è quindi lontano, non solo nel tempo, dalle prescrizioni della circolare n. 442/9532 del 3 aprile 1934 che prevedevano, a fini censori, il sequestro preventivo in triplice copia, di pubblicazioni e disegni presso la Biblioteca Nazionale Giuridica sita all’interno del palazzo della Cassazione.
E son passati ben ventun anni da quando, con la storica “ordinanza InterLex”, il Tribunale civile e penale di Roma – Sezione per la stampa e l’informazione, disponendo l’iscrizione nel Registro della Stampa dell’omonimo plurisettimanale scientifico giuridico on-line, apriva al mondo dell’informazione digitale, riconoscendole “pari dignità istituzionale”.
Tuttavia, l’evoluzione del quadro di garanzie costituzionali e legali poste a tutela dei diritti fondamentali, non ha reso immune da rischi le delicate dinamiche esistenti tra potere costituito e libertà costituzionalmente garantite.
In merito alla possibile evoluzione (o involuzione) del rapporto tra potere e diritti dell’uomo si vogliano leggere le idee, senza tempo, di autorevoli costituzionalisti: “Il costituzionalismo moderno – afferma il costituzionalista Massimo Luciani, colloca «il diritto al cuore stesso del rapporto politico, quale strumento di legittimazione del potere», ma configura il potere quale concreto strumento di riconoscimento dei diritti. Il potere, insomma ha bisogno del diritto, dal quale riceve la propria legittimazione, ma i diritti anche quelli fondamentali – hanno bisogno del potere per potersi affermare. Nel 1964 Norberto Bobbio scriveva che il problema dei diritti dell’uomo non è quello di fondarli, ma quello di proteggerli: è la loro effettività. E ciò che può avvenire – per quanto possa sembrare paradossale – solo attraverso l’uso legale del potere. Questo rapporto – ben più complesso di quanto questi rapidissimi cenni facciano immaginare – si è notevolmente alterato negli ultimi decenni. E’ mutata la percezione del collegamento genetico tra diritti e potere e, dunque, il «fondamento» stesso dei diritti fondamentali.”
E’ molto interessante, al riguardo, notare come qui Norberto Bobbio richiami quell’atavico “collegamento genetico” tra popolo e Stato, tra sovranità polare e potere esercitato dagli Organi costituzionali a cui si è fatto solo fugace cenno in premessa ed è illuminante ravvisare la grande attualità dell’affermazione del rapporto che potremmo definire “di biunivoca attrazione vitale” tra diritto e potere.
Tale attrazione vitale dovrebbe però sempre rimanere tale, senza mai soffocare il diritto di libera espressione delle idee: il coraggio di chi esprime le proprie idee non dovrebbe recedere di fronte alla forza intimidatrice e censoria del potere, perché come disse il premio nobel Aung San Suu Kyi “non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo del potere corrompe chi ne è soggetto.” Le spire del potere malato, tuttavia, troppo spesso finiscono per soffocare tali libertà: sono 81 i giornalisti che hanno perso la vita per difendere la libertà di stampa nel 2018, secondo Reporters sans frontieres.
Ma il martirio di chi non ha taciuto di fronte alle cose che contano, di fronte a un’idea creduta giusta, non è mai inutile.
Perché «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un’Idea è la più alta formula che l’Io umano possa raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di mezzo a’ suoi fratelli giacenti ed esclama – ecco: questo è il vero, e io, morendo, l’adoro – uno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l’umanità […]. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l’uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl’Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta l’Europa l’opinione che una Italia sarà. […] Voi potete uccidere pochi uomini, ma non l’Idea. l’Idea è immortale».
Come immortale resterà l’idea di un’Europa senza confini da poter vivere e raccontare per radio del giovane Giuseppe Megalizzi, il cui amore per un giornalismo libero ha già vinto sull’odio della barbarie terroristica. Che la libertà di parola, enunciata o scritta resti libera e feconda di idee, che questo sommesso editoriale possa essere una “tessera a colore” di un più ampio e pregevole mosaico di libere riflessioni!
fonte:https://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Pagine/default.aspx