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Nella precarietà dell’esistenza risplende “La felicità della luce”

L’opera di Paolo Scrobogna, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” 

Una vita precaria, scandita da vecchi ricordi, tra vigilie di Natale e vecchi amori. Un cammino fatto
di primavere e autunni, solitudine, rassegnazione e abbandono, dove i giorni trascorrono inesorabili.
Ma anche amore, pace, oblio. “La vita è un verbo che cammina stillando tormento e gioia mentre
attraversa i prati in affranti sghimbesci e piroette d’etoiles”. E’ una sorta di labirinto in cui è facile
perdersi ma dove la speranza non si arrende e la bellezza risplende. E’ “La felicità della luce”,
l’opera di Paolo Scrobogna, medico pneumologo allergologo, pubblicata nella collana “I
Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «La felicità della luce – spiega l’autore veneto, vissuto
fino a 15 anni fa a Padova e che attualmente vive in provincia, in campagna, ad Albignasego – è il
titolo di una poesia che ho scritto e che amo molto. Da qui la decisione di farne anche il titolo del
mio libro. La luce è il sole, la sicurezza, la compagnia. Al mattino un bambino di solito è felice
quando apre gli occhi e vede la luce: ecco, questa è la felicità della luce».
A soffermarsi sulla bellezza dei componimenti, così asciutti ed eloquenti, è Alessandro
Quasimodo, curatore della Prefazione. «I versi brevi – scrive -, le enumerazioni (notte, buio,
sogno, speranza), prive di congiunzioni, risultano emblematici perché rispecchiano un alternarsi di
stati d’animo antitetici. Gli aggettivi plumbeo, fragile indicano delusioni e senso di precarietà
dell’esistenza. Eppure non muore la speranza che si alimenta della dimensione onirica e di
vaghe aspettative. Lo stesso titolo del libro utilizza parole come luce e felicità, ricche di
connotazioni positive».
Riguardo all’aspetto stilistico della sua lirica, l’autore afferma: «Non ho chiari e precisi elementi
stilistici ai quali mi attengo. Tutto può nascere da un'idea anche banale, un lampo improvviso che
poi vesto con calma. Di certo, non amo le righe e l'eccessiva lunghezza».
Ad incidere sui versi è il reale, l’animo umano e i suoi risvolti. «Quello che per me rimane la
fonte d'ispirazione essenziale – racconta il medico poeta – è la solitudine dell'uomo, le difficoltà
nel comunicare, le meschine quotidianità, i silenzi, gli amori non detti. Mi piacerebbe che il
lettore capisse l'essenzialità della mia poesia, poter trasmettere la precarietà
dell'esistenza, l'ineluttabilità del tempo, i momenti della vita». Una precarietà che non deve mai
impedire di cogliere quella luce che si intravede da ogni fessura, anche quella più dolorosa. Come
scrive l’autore nella poesia che dà il titolo all’opera: “Voglio morire laggiù dopo l’imbuto
nero, accartocciato a una fiammella di cerino. Così sarò certo d’aver vissuto anche solo per un
attimo la felicità della luce, come d’agosto in controsole…”.

Federica Grisolia

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