Torna con una nuova opera dal titolo “Parlando agli dèi”, l’autore Sergio Sabetta, ormai
veterano per le sue pubblicazioni, nella collana “I Diamanti della Poesia”, targate Aletti
editore. E lo fa, questa volta, con un richiamo che sa di antichità. «La cultura classica – afferma il
poeta funzionario presso la Corte dei Conti di Genova ed ex magistrato onorario presso il tribunale
di Chiavari – ha in sé i vari aspetti dell'umanità; è una riflessione sulle emozioni, sui sentimenti più
forti e profondi che vengono sublimati in racconti e miti. Attraverso essi si vede l'animo umano e le
passioni che, nonostante tutta la tecnologia, rimangono quale essenza fondamentale della specie».
Nel dettaglio, riguardo, invece, la scelta del titolo l’autore spiega: «Gli dèi sono le forze, le forme di
una Natura che agisce, ma la nostra superbia tecnologica la ritiene passiva, quindi parlare agli dèi è
parlare alle varie facce della Natura».
L’opera si suddivide nelle seguenti sezioni: “Tra le braccia degli dèi”; “Nelle nebbie del Nord”;
“Passeggiando Per Roma”; “Dissolvenze”. «Nel suo insieme – precisa il poeta – vorrebbe
accompagnare il lettore su una dimensione talvolta tragica, altre volte ironica e gioiosa, sulla
nostra storia e le sue contraddizioni. Una coscienza difficile da acquisire e talvolta dolorosa, ma
sempre liberatoria dalle manipolazioni della storia». Una delle tante liriche è dedicata proprio
alla poesia e al suo ruolo liberatorio e catartico per le coscienze. Ma anche alla sua funzione di
resistenza e critica contro l’appiattimento esistenziale. «La poesia – ne è convinto, infatti, Sabetta –
possiede una sua logica non matematica e consequenziale, bensì è un sovrapporsi di sentimenti ed
emozioni apparentemente disgiunte ma che si legano tra loro per vie nascoste, nel salto tra tempi ed
età diverse, sicchè nello stesso soggetto vengono ad intersecarsi diverse umanità».
Nell’opera vi è la necessità di un ritorno alle radici, alla cultura che forgia nella ricerca
degli impulsi e delle emozioni che, nate dal cuore umano, vengono da essa rielaborate.
Attualmente, si tende a considerare superata la cultura classica, vedendo l'umanesimo come
qualcosa di opposto alla modernità di uno slancio innovativo continuo, in un malinteso senso della
tecnologia. «C’è spazio anche, in questi versi profondi ed estremamente poliedrici di Sergio
Benedetto Sabetta – scrive, nella Prefazione, Francesco Gazzè, fratello del noto cantante Max e
autore di numerosi suoi testi – per quel certo raro talento di saper pennellare con grazia
lunghissimi istanti di esistenza vera, spazio per la sublime arte del saper raccontare tutto, ma
proprio tutto, e per quell’ispirata benedetta pazienza (rara anch’essa) del costruire, dell’ornamento,
della cura, della forma; l’unica, la pazienza, davvero in grado di rendere senza tempo qualsiasi atto
creativo». Gli argomenti ispiratori dell’opera sono i miti mediterranei e nordici filtrati dalla
storia, dove, tuttavia, l'ironia della romanità ne riduce a dimensione umana la
tragedia. Contro un impoverimento culturale si avverte l’esigenza di riscoprire la dimensione
collettiva mitica e collegarla storicamente a quella attuale. «Quando si legge una poesia
è come immergersi nelle acque di un torrente, un fluire dalla sorgente alla foce, in cui
ciascun lettore dà i toni e le sospensioni, nuota tra l'increspare delle acque grazie alla particolare
punteggiatura. Nella poesia – conclude l’autore Sabetta – non vi sono solo emozioni ma anche la
storia e, pertanto, l'etica data dalle osservazioni e le domande che essa pone. Diventa, quindi, il
deposito della memoria di una cultura, se non dell'umanità. Ne diviene una possibile forma,
libera nella sua espressione».
Federica Grisolia