(ANSA) – TRIESTE, 24 MAR – Se si scompongono rime, accenti e lunghezza dei versi, il nostro cervello farà meno fatica a ricordare quelli della Divina Commedia rispetto a quelli dell’Orlando Furioso. A mettere a confronto le due opere di Dante Alighieri e Ludovico Ariosto è stato uno studio, diffuso
in occasione del Dantedì, che mira a quantificare l’efficacia della metrica rapportata alla memorizzazione. Per indagare il suo ruolo nei meccanismi cognitivi del cervello un gruppo di neuroscienziati della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) si è concentrato su due tra le più famose opere della letteratura italiana, la Divina Commedia e l’Orlando Furioso, focalizzandosi su tre componenti della metrica: rima, accenti e lunghezza dei versi.
La ricerca, realizzata da Sara Andreetta Oleksandra Soldatkina, Vezha Boboeva e Alessandro Treves del gruppo di neuroscienze cognitive della Sissa, evidenzia una differenza tra le due opere: sembra che i versi di Dante abbiano componenti intrinseche per cui restano più impressi anche se la metrica viene distrutta. “Abbiamo scelto passaggi dalla Divina Commedia di Dante Alighieri e dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e li abbiamo privati di significato sostituendo a molte parole chiave delle non-parole, in modo da mantenere comunque intatta la prosodia e la metrica”, racconta Andreetta, prima autrice
della ricerca.
“Da ciascuno di questi passaggi in versione nonsense ne abbiamo poi generati altri tre – spiega – uno senza rima, uno con gli accenti alterati, uno coi versi di lunghezza variabile.
Abbiamo verificato con un apposito test con circa 130 partecipanti la loro plausibilità poetica ovvero quanto i versi ‘suonassero bene’ nonostante le modifiche e ne è risultato che sia per Dante che per Ariosto le tre componenti pesano proprio in quest’ordine – conclude – più importante la rima, poi gli
accenti, poi la lunghezza corretta degli endecasillabi”.
Fonte Ansa.it