(ANSA) – ROMA – La sete picchia duro col caldo esploso improvvisamente a giugno. E’ assalto alle fontanelle urbane, compresi i cosiddetti “nasoni” quest’anno in piena attività nella Capitale, ma anche alle bevande. Al bar dell’aperitivo come nei chioschi in spiaggia, le bibite ritrovano spesso una veste retrò in vetro, vuoi per la plastica-fobia imposta dagli emuli di Greta, vuoi per un gusto vintage che si riflette anche nelle scelte di acquisto.
In Toscana e lungo l’Appennino si fa anche colazione con la spuma bionda, mentre sul litorale si stappano cedrate e l’autentico chinotto. Anche la proposta di birra è in evoluzione: è boom per la zero-alcol e le agrumate al cedro e limone. E nel dinamico mercato delle produzioni artigianali dei microbirrifici sale l’interesse per l’attenta selezione di ingredienti tipici italiani e il basso contenuto alcolico (2%). Vengono poi sdoganati consumi più informali: i boccali miscelati con la gazzosa, e le vinificazioni “biofuel” col vino.
I produttori di birra fiamminga stanno inoltre portando in Italia le prime birre infuse (Bourbon Whisky, Calvados, Armagnac e Sherry) e nuove produzioni artigianali con rifermentazione champagne-style.
Mentre i tanti turisti nord-europei amano difendersi dal caldo con le birre fruttate a base di cherry oppure con sentori di caffe’, cacao o liquirizia.
Il consumo di drink refrigeranti si sta comunque concentrando sì sulle produzioni tipiche di territorio, ma industriali. Anche per il divieto di somministrazione nei pubblici esercizi di caffè freddo, tè aromatizzati e limoncelli se di auto-produzione.
Per il Made in Italy il caldo porta così venti favorevoli: secondo dati Assobibe il valore aggiunto complessivo generato, direttamente e indirettamente, dalla produzione e vendita di bevande analcoliche in Italia è pari a 4,9 miliardi di euro. Di questi, precisa ancora l’Associazione Italiana Industria Bevande Analcoliche, 800 milioni di euro sono generati direttamente dalle imprese di produzione di bevande analcoliche, 1,1 miliardi di euro sono generati dalle imprese che forniscono le materie prime necessarie alla produzione delle bibite (dagli aromi agli imballaggi, fino al marketing), mentre i restanti 3 miliardi di euro provengono dalle fasi di commercializzazione dei prodotti finiti.(ANSA).