L’importante riconoscimento apre la strada affinché diventi un prodotto Dop anche in Europa
Il waranà di Andirá Marau, nel nord del Brasile, e la comunità indigena che più di duemila anni fa ha addomesticato questa liana facendo sì che potesse venire coltivata – i Sateré-Mawé della Foresta Amazzonica – hanno ottenuto la Denominazione di Origine brasiliana. È la prima volta che questo importante riconoscimento, che certifica i prodotti sancendo il legame tra le qualità peculiari e il luogo di origine, viene assegnato a un popolo indigeno del Brasile. Non solo: il waranà dei Sateré-Mawé, che si fregia del titolo di guaranà nativo, è anche il primo prodotto dell’Amazzonia brasiliana a ottenerla.
«Ottenere la Denominazione di Origine significa certificare che il prodotto, con quelle determinate caratteristiche legate a fattori umani e naturali, esiste solo in quella determinata area geografica» spiega Maurizio Fraboni, italiano, socioeconomista dello sviluppo che da 25 anni lavora al fianco dei Sateré-Mawé. «Nel caso del waranà c’è però molto di più: il bacino idrografico formato dal corso dei fiumi Andirá e Marau è la banca genetica in sito del guaraná, l’unica al mondo. Un santuario ecologico e culturale costruito nel corso dei secoli». I membri della comunità indigena operano in questo modo: raccolgono le piantine nate dai semi caduti ai piedi delle liane e le trapiantano in radure dove crescono a cespuglio e divengono produttive.
Il traguardo della Denominazione di Origine è un risultato importante anche per la nostra associazione: «Abbiamo creduto nel waranà fin dall’inizio degli anni Duemila» ricorda Serena Milano, segretaria generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. «Nel 2002 abbiamo lanciato il Presidio Slow Food, portandolo a Torino in occasione di quell’edizione del Salone del Gusto».
Aver ottenuto la Denominazione di Origine brasiliana, inoltre, apre le porte verso la Denominazione di Origine Protetta (Dop), il marchio di tutela giuridica attribuito dall’Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. Per i prodotti extraeuropei, vantare un’indicazione geografica locale è infatti requisito indispensabile per poter accedere alla Dop comunitaria.
Che cos’è il waranà?
Anche se molti sono abituati a chiamarla con il nome guaranà, la pianta che offre quei frutti dall’aspetto particolare – caratterizzati da una sorta di buccia rossa e dalla polpa bianca – in lingua sateré-mawé si chiama in realtà waranà. Proprio nell’Andirá Marau, un lembo di terra di circa ottomila chilometri quadrati nel mezzo dell’Amazzonia (la stessa superficie del Friuli-Venezia Giulia, per dare un’idea di grandezza), il guaranà è nativo: significa che lì la pianta è autoctona, che solo lì – dove le api locali garantiscono l’impollinazione incrociata tra i guaraneti e le liane della foresta – se ne conserva tutta la varietà genetica primitiva, che quello è il territorio che ne preserva la tradizione.
A proposito della pianta: in pochi sanno che può superare i dieci metri di altezza e che il significato del suo nome è “l’inizio di ogni conoscenza”. Per i Sateré-Mawé, popolazione di appena 13 mila persone e di cui circa duecento famiglie sono produttori di waranà, i frutti hanno infatti proprietà magiche. I suoi semi, che vengono cotti e poi grattugiati, assicurano diversi usi in cucina, di cui quello più noto è la bevanda energizzante che da anni fa concorrenza a quelle a base di caffeina.
Negli ultimi cent’anni il guaranà si è via via diffuso in diverse aree del Brasile; spinta dal recente successo commerciale, poi, l’industria agroalimentare ha cominciato a imporre a molti contadini, nelle produzioni esterne alla terra indigena, l’universalizzazione dell’uso di cultivar, ottenute mediante clonazione. «La Denominazione di Origine è il riconoscimento a una lotta lunga decenni in difesa di un prodotto che non deve essere ridotto a una commodity» spiega Fraboni.
La Denominazione di Origine non rappresenta però soltanto un riconoscimento al prodotto: «Si inquadra in un progetto integrato di eco-etnosviluppo – spiega Fraboni – che mira a realizzare quanto stabilito dalla Costituzione brasiliana del 1988, cioè la possibilità per le comunità indigene di gestire il proprio territorio secondo i loro usi, costumi e tradizioni, usufruendo in modo ecologico delle risorse della biodiversità di cui dispongono per i propri bisogni fondamentali. Valorizzandole, facendone uno strumento di autonomia economica, possono trarne una garanzia di autonomia politica e culturale».
Il waranà protagonista di Terra Madre
Il riconoscimento al waranà di Andirá Marau ha anticipato di pochi giorni la terza edizione di Terra Madre Brasil, il più importante evento organizzato dalla rete Slow Food in Brasile, inaugurato il 17 novembre e che, con una serie di attività e appuntamenti on line, proseguirà fino al 22. Tra questi, molti vedono il waranà protagonista: se n’è parlato ad esempio nel corso del webinar dal titolo Ferramentas de reconhecimento do patrimônio e da cultura alimentar (Strumenti per il riconoscimento del patrimonio e della cultura alimentare) del 17 novembre, durante il quale sono intervenuti rappresentanti del ministero dell’Agricoltura del Paese, della Fao, dell’Istituto nazionale per il patrimonio storico e artistico (Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional – IPHAN) e naturalmente di Slow Food Brasile.
Sempre dal 17 novembre, inoltre, è disponibile online la puntata del Come si fa – il format messo a punto da Slow Food per l’edizione 2020 di Terra Madre Salone del Gusto – dedicata al waraná Sateré-Mawé.
Non è tutto: se siete curiosi di assaggiare il waranà nativo, trovate in vendita sull’e-commerce di Terra Madre Salone del Gusto quello in polvere dell’azienda Guayapi.
Le sue proprietà sono state studiate e apprezzate anche per scopi non alimentari, come nel caso di Bioclin, che ha scelto di impiegare l’acqua di waranà del Presidio Slow Food in una delle sue nuove linee per capelli.