(ANSA) – ROMA – E’ di poco superiore ai tre milioni di tonnellate la produzione 2018-2019 di olio extravergine nel mondo. A ufficializzare il dato è il Comitato oleico internazionale (Coi) con una rilevazione a novembre 2018. Il report conferma la leadership produttiva di olio extravergine dei Paesi del Mediterraneo come Spagna Italia, Grecia e Portogallo (2219.2 t). Dati alla mano il Paese iberico- secondo il Coi- registra una produzione in crescita con 1598.9 tonnellate (1260.1 t nel 2017), mentre l’Italia, come comunicato dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (Ismea), accusa un calo di produzione pari al 57% rispetto al 2017 sulla base dei dichiarativi di dicembre per un ammontare totale di 185 mila tonnellate. Dallo scenario economico emerge inoltre un calo produttivo rispetto al 2017 anche per la Grecia (225.0 mila t. contro 346.0 t del 2017) e Portogallo (115.0 t contro 134.8 t). Tra gli altri Paesi si segnala un aumento per il Marocco, passato da 140.0 t. a 200.0 t. Perdite produttive per Tunisia (120.0 t contro 280.0 t) e Algeria (76.5 t contro 82,5 t). “La produzione mondiale – spiega il direttore del Comitato oleico internazionale Abdellatif Ghedira- è mediamente di tre milioni di tonnellate. Le flessioni produttive- aggiunge- sono dovute ai cambiamenti climatici e a problemi fitosanitari.
Il quadro economico di settore presenta- aggiunge- una confermata leadership produttiva dei Paesi del mediterraneo, ma crescono anche altre nazioni catalogabili come emergenti quale Egitto, primo produttore di olive da tavola dopo l’Europa con la volontà di piantare 100 milioni di alberi di ulivo e la Cina che ha iniziato a cimentarsi nel settore con 71mila ettari”. Ghedira annuncia inoltre che il Coi è al lavoro per armonizzare maggiormente il livello internazionale dello standard dell’extravergine con paletti più omogenei per tutti i Paesi del mondo al fine di garantire il consumatore. Non dimentica in ultimo di raccomandare un utilizzo giusto della parola frode nel campo oleario al fine di non compromettere i consumi sia nei Paesi emergenti che in quelli tradizionali