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Onu, in Italia l’industria alimentare sfrutta i braccianti

ROMA – Orari “eccessivamente lunghi” e “salari troppo bassi per coprire i bisogni elementari” e migranti senza documenti “lasciati in un limbo, senza poter accedere a lavori regolari”: secondo l’Onu, metà della manodopera agricola italiana è costituita da migranti, per lo più irregolari, la categoria più debole. Manodopera “sfruttata dal sofisticato sistema alimentare dell’Italia”. L’atto d’accusa è contenuto in un comunicato dell’inviata esperta di diritti umani delle Nazioni Unite, Hilal Elver. “Malgrado un Pil stimato di 2,84 mila miliardi di dollari, imprese innovative rinomate nel mondo, un vasto settore agricolo e un’industria manifatturiera moderna, i lavoratori e piccoli agricoltori portano un pesante fardello e sono sfruttati dalla sofisticata industria alimentare italiana”, scrive nella nota Hilal Elver, Relatrice Speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione, al termine di una visita di 11 giorni nel nostro Paese.

“L’Italia – scrive – è un forte fautore internazionale dei diritti umani, in particolare di quello all’alimentazione, ma questo non ha la stessa risonanza sul piano interno”.

“Ho parlato – aggiunge, citata dalla nota – con persone che dipendono dai banchi alimentari e dalle istituzioni caritatevoli per il loro prossimo pasto; lavoratori agricoli che lavorano con orari troppo lunghi in condizioni difficili e con un salario troppo basso per coprire i loro bisogni elementari; migranti senza documenti lasciati in un limbo con nessun accesso a lavori regolari né la possibilità di affittare un locale decente dove vivere, e studenti che non hanno accesso alle mense scolastiche perché le loro famiglie sono troppo povere per poterle pagare”. Secindo Elver, “come Paese sviluppato come terza economia in Europa, questi livelli di povertà e di sicurezza alimentare sono inaccettabili”. Il governo italiano, fa sapere l’esperta Onu, dovrebbe capire che “la carità non va confusa con il diritto ad alimentarsi”.

Metà circa della manodopera del settore agricolo, scrive nel suo rapporto l’Onu, è costituita da braccianti migranti, che formano uno dei gruppi più vulnerabili e che a lavorare sono fra i 450 mila a mezzo milione. In agricoltura, scrive ancora, lavora “la più elevato quota di lavoratori irregolari in relazione al numero totale di impiegati nel settore”.

“Da nord a sud, centinaia di migliaia di braccianti lavorano la terra o accudiscono il bestiame senza protezioni legale o sociale adeguate”. E sotto ricatto, con la “minaccia costante di perdere il lavoro, di venire rimpatriati con la forza o di diventare oggetto di violenza fisica e morale”.

“Lavoratori stagionali e non stagionali trovano spesso nel sistema del caporalato la sola possibilità di vendere la loro manodopera e di ottenere una paga”. La legge 199/2016 “non sembra in grado di difendere i diritti umani di tutti i braccianti, in particolare dei migranti senza documenti, che vengono tenuti in condizione di invisibilità e di paura”.

Lo sfruttamento della manodopera, inoltre, “non è l’unico modo in cui l’illegalità invade la filiera alimentare italiana”, scrive Elver, che parla di “prodotti contaminati abbandonati nelle aree rurali, bruciati o versati nei fiumi; di mercati all’ingrosso in cui gli agricoltori sono costretti ad accettare prezzi così bassi da metterne in gioco la sopravvivenza; dell’acquisto di terra con soldi denaro frutto di attività illegali; dell’uso frequente di fertilizzanti contraffati o tossici, spesso spruzzati da lavoratori senza conoscenze né misure di sicurezza”.

Infine una critica al Decreto Sicurezza di Salvini, che ha “contribuito alla crescita dei migranti senza documenti e la ‘illegalizzazione’ dei richiedenti asilo e spinto sempre più persone nel lavoro irregolare”. “Ci sono (in Italia) circa 680.000 migranti senza documenti, due volte quanti ce n’erano solo cinque anni fa”, conclude l’inviata dell’Onu, che ha visitato Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte, Puglia and Sicilia.

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