Ogni tanto, dopo avere mangiato una pizza fuori casa, si digerisce con una certa difficoltà o viene una forte sete. La causa di questi disagi non risiede, come si crede, in una lievitazione incompleta, quanto piuttosto in una “maturazione” insufficiente e nella cottura inadeguata dell’impasto. La questione però non è cosi semplice perché i tre fattori si intersecano fra di loro. Prima di tutto occorre rispettare i tempi di lavorazione.
“Utilizzando una farina di forza intermedia (con un valore W compreso tra 320 e 340) – precisa Mirko Vailati del Molino Pagani – bisogna impastare e poi lasciare a riposo per 20 minuti. La seconda fase consiste nel porzionare l’impasto formando palline da 220-250 g che devono riposare per almeno 60-90 minuti e, infine, mettere tutto nella cella frigorifera per 24-36 ore a +4°C. Dopo questo periodo necessario per permettere all’impasto di fermentare e di maturare, le palline devono riposare per qualche ora in attesa di essere utilizzate”. Con la lievitazione, l’impasto aumenta di volume grazie all’azione fermentativa del lievito (di solito Saccharomyces cerevisiae) che attacca l’amido liberando acqua e anidride carbonica che, intrappolata nella struttura proteica del glutine, determina l’aumento del volume. C’è però chi dimezza questi tempi e il risultato non è certo eccellente e può essere una causa della sete.
Contemporaneamente a questo processo avviene la maturazione, fase in cui gli enzimi idrolitici (amilasi e proteasi) presenti nella farina e attivati dall’acqua aggiunta all’impasto, scompongono gli amidi e il glutine. Tuttavia, mentre la lievitazione necessita di tempi rapidi, la maturazione impiega molto di più e per questo si usa la cella frigorifera dove i tempi vengono rallentati.
“Uno dei motivi che può scatenare la sete – precisa Marina Carcea, dirigente tecnologa del Crea – è una preparazione e una fermentazione/maturazione troppo veloce dell’impasto a cui si aggiunge una cottura rapida che non riesce a raggiungere tutti i punti della pizza, per cui l’impasto resta crudo in alcuni punti. Questo significa che parte dell’amido non viene gelatinizzato e cotto e resta in forma granulare, nativa. Se nella pizza resta dell’amido nativo il nostro sistema digestivo fatica a metabolizzarlo. Per rendersi conto basta dire che il problema della sete non si pone con il pane. Quindi è la cottura corretta oltre a una preparazione adeguata che garantisce una buona digeribilità alla pizza.
“La questione della cottura è molto importante – precisa Marco Lungo, consulente di aziende alimentari – l’amido non gelatinizzato complica la digestione. Per capire se una pizza è stata preparata in modo adeguato, la parte centrale della Margherita deve essere ben cotta come le aree più periferiche e anche la parte interna del bordo. Non ci devono essere linee di impasto crudo”.
Un altro elemento che può scatenare la sete è l’eccessiva quantità di sale usata per correggere i difetti di una scarsa maturazione, ma questo difetto si “sente” subito al palato. Il consiglio è di scegliere una pizza con pochi condimenti (non salati) tipici della tradizione italiana in grado di esaltare il sapore della farina e del pomodoro.