ROMA – E’ stata ricostruita geneticamente la storia evolutiva del grano tenero per preservarne la biodiversità e migliorarne il futuro. Alla ricerca ha partecipato il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) come unico partner italiano del consorzio internazionale finanziato dal progetto europeo Whealbi. Lo studio, firmato da oltre 29 autori di 8 diversi Paesi, tra cui due ricercatori italiani, Alessandro Tondelli e Luigi Cattivelli del Crea Genomica e Bioinformatica, è stato su “Nature Genetics”.
Il grano tenero ha un “supergenoma” – responsabile della sua straordinaria capacità di adattamento ambientale – e si è evoluto tramite due eventi di ibridazione naturali. Il primo, circa mezzo milione di anni fa, da cui si sono originati tutti i frumenti duri, è il risultato di un incrocio tra due specie di frumento selvatico: una del genere Aegilops, oggi probabilmente estinta, e il Triticum urartu. Il secondo, risale a circa 10.000 anni fa, e coinvolge un discendente del primo incrocio e un altro frumento selvatico (Aegilops tauschii) ed è proprio allora che ha origine il grano tenero.
I ricercatori hanno sequenziato parzialmente il genoma dei circa 500 frumenti che rappresentano la diversità genetica globale dei frumenti (monococchi, farri, duri, teneri, spelta, moderni, antichi, popolazioni locali, coltivati e selvatici) per capire da quale frumento antico, selvatico, monococco o farro derivano i geni che abbiamo nei frumenti moderni e come sono giunti sino a noi. Dal lavoro è emerso che il frumento tenero deriva da un incrocio tra un frumento duro (e non un farro) e A. tauschsii. Dal frumento tenero solo successivamente si evolve il frumento spelta che, di conseguenza, è il frumento di più recente origine.
“Abbiamo individuato i geni che hanno reso e rendono differente una varietà o una popolazione locale di grano tenero dall’altra – spiega Luigi Cattivelli, uno dei due autori italiani della ricerca nonchè direttore del CREA Genomica e Bioinformatica – un risultato importante che ci permette di conoscere a fondo la biodiversità e quindi di preservarla al meglio, fornendoci anche un prezioso patrimonio di informazioni genetiche da utilizzare per migliorare in modo sostenibile una coltura che costituisce l’alimento base per oltre un terzo della popolazione umana mondiale”.