Ormai da diversi anni il salmone è una presenza costante sulla tavola delle feste. E non accenna a passare di moda, anzi, il consumo si afferma sempre più, tanto che è uno dei prodotti ittici più consumati dagli italiani. Si può acquistare in tranci, da cucinare, oppure affumicato e tagliato a fettine sottili, da consumare come antipasto, per le tartine, perfetto per i giorni di festa.
Aumentando l’interesse dei consumatori è cresciuta anche l’offerta sugli scaffali, sempre più differenziata, così che è sempre più difficile scegliere il prodotto migliore o più conveniente, considerato che i prezzi, rimanendo nell’ambito dei supermercati, vanno da 20 a oltre 100 euro al chilo.
Sull’etichetta troviamo la denominazione commerciale – salmone affumicato –, se pescato o allevato, la zona di cattura o il Paese dove è stato allevato, la categoria degli attrezzi da pesca utilizzati per la pesca, e il luogo di lavorazione e confezionamento (queste ultime due informazioni non sono obbligatorie). Gli allevamenti hanno sede principalmente in Scozia e in Norvegia, ma anche in Cile, Nuova Zelanda e Islanda. La trasformazione può essere fatta sul posto, oppure in Francia, in Germania, Lettonia, Polonia e anche in Italia.
Per capire cos’è meglio acquistare, abbiamo chiesto un parere a Valentina Tepedino, veterinaria direttrice della rivista Eurofishmarket. “Il salmone selvaggio e quello allevato che arrivano sui nostri mercati appartengono, nella maggioranza dei casi, a specie e generi diversi di salmonidi. Il consumatore spesso pensa che si tratti della stessa specie pescata o allevata. “Il salmone catturato in mare– dice Tepedino – arriva per lo più dall’Oceano Pacifico e si tratta di specie appartenenti al genere Oncorhyncus, mentre quello allevato è di solito di un unica specie ossia Salmo salar, tipica dell’Oceano Atlantico. Dal punto di vista nutrizionale entrambi i generi sono interessanti, in particolare per quanto riguarda il profilo di acidi grassi polinsaturi omega 3 e l’apporto proteico. Gli aspetti organolettici sono differenti non solo tra i “salmoni” di genere diverso ma anche tra le differenti specie: il salmone selvaggio del Pacifico in generale ha carni più magre e più sode di uno allevato, e un colore e sapore differente a seconda della specie. Dal punto di vista igienico-sanitario, tutti questi prodotti sottostanno alla normativa che garantisce la sicurezza. Per questo vengono fatti numerosi controlli sulla presenza di potenziali microrganismi patogeni o contaminanti.”
Il salmone non compare spesso nelle segnalazioni del Rasff (il Sistema europeo di allerta rapido per alimenti e mangimi): nell’anno in corso, fino al 5 dicembre, sono partite 27 segnalazioni, di cui sei dall’Italia, non a causa di contaminanti chimici, come metalli pesanti o idrocarburi, ma per la presenza di Lysteria monocytogenes in prodotti prevalentemente di origine polacca. Questo batterio può contaminare il pesce durante la lavorazione, ed è pericoloso perché il salmone affumicato viene consumato crudo. Per questo sono numerosi i controlli.
Gli allevamenti di salmone sono stati più volte al centro dell’attenzione per il loro impatto ambientale e per i problemi legati alla gestione dei pesci, in quanto sono state denunciate situazioni di sovraffollamento e abuso di farmaci. “I salmoni – spiega Tepedino – sono allevati all’interno di enormi gabbie, in mare, e nutriti con mangimi costituiti in buona percentuale, fino al 70%, da farine di origine vegetale (soia, mais ecc) e in una minore percentuale da farine di origine animale (prevalentemente farina e olio di pesce). La gestione degli aspetti sanitari, compreso l’utilizzo di farmaci o prodotti disinfettanti, deve rispettare le norme e non devono essere presenti residui nel prodotto finale. Per tanti aspetti legati al benessere animale e all’impatto ambientale, invece, non esiste una specifica normativa comunitaria sull’acquacoltura. Gli allevamenti più affidabili in questo senso sono quelli norvegesi, perché questa nazione, che vede nei prodotti ittici una risorsa fondamentale, si è dotata di una legislazione sull’acquacultura che regola aspetti come la densità (i pesci non devono occupare Spiù del 2,5% del volume delle gabbie) e altri parametri utili a migliorare il loro benessere. Gli allevamenti sono monitorati da telecamere fisse, l’uso di antibiotici è ridotto a quantità minime, perché i pesci sono trattati con vaccini e i controlli sono rigorosi. Tutta l’attività è improntata a una grande trasparenza. Nel resto d’Europa sono soggetti a controlli sulla “sostenibilità” solo gli impianti che seguono i disciplinari dell’acquacoltura biologica, per aspetti come il rispetto del benessere animale (considerando per esempio la densità dei pesci), quello dell’ambiente (distanza tra gli impianti) e i mangimi (di origine biologica o derivanti da pesca certificata sostenibile). Negli anni ho visto migliorare l’attenzione al benessere dei pesci negli allevamenti, perché è cresciuta la sensibilità di tutti verso questo aspetto e ci si è anche resi conto che pesci allevati senza stress non si ammalano o si ammalano meno.”
Abbiamo fatto un confronto fra alcune tipologie trovate nelle piattaforme di vendita online di Esselunga e Coop (vedi tabella). Leggendo le etichette vediamo che il salmone affumicato può essere decongelato oppure lavorato da fresco. “Per scongiurare la possibilità di un’infestazione da parte del parassita Anisakis – dice Tepedino – Dice Tepedino – (ne abbiamo parlato qui), il salmone selvaggio deve sempre essere congelato prima di essere affumicato a freddo. – La situazione è diversa per i prodotti dell’acquacoltura: se si può garantire l’assenza del parassita, come per esempio hanno dimostrato scientificamente i produttori norvegesi ottenendo dalla Commissione Europea la deroga all’abbattimento, possiamo trovare prodotto lavorato da fresco.”
In realtà, sul mercato si trovano anche confezioni di salmone scozzese che riportano la dicitura “lavorato da fresco”, per esempio quelli a marchio Esselunga e Sal Sea Food.
“L’Anisakis è un parassita intestinale che colpisce i pesci che si nutrono di altri pesci affetti dal parassita – dice Corrado Pedol, responsabile acquisti per Sal Sea Food (Merate LC) – I salmoni di allevamento non si nutrono di pesce ma di mangimi, quindi non possono contrarre questo parassita e non è necessario abbatterli prima della lavorazione. Per questo è possibile trovare salmone lavorato da fresco, e questo è considerato un pregio dal punto di vista organolettico. La normativa non prevede per il salmone affumicato che l’eventuale abbattimento subìto prima della trasformazione debba essere indicato in etichetta. L’indicazione relativa al congelamento deve invece essere presente quando a essere congelato e successivamente decongelato è il prodotto già trasformato e confezionato, una pratica che alcuni produttori mettono in atto per far fronte ai momenti di maggiore richiesta”.
Per la salatura, la procedura tradizionale, a secco, prevede che i filetti siano coperti di sale e lasciati riposare alcune ore. In alternativa, questi sono iniettati con una soluzione di acqua e sale, procedimento più rapido e quindi meno costoso. Lo stesso vale per l’affumicatura: può essere effettuata sottoponendo i filetti al fumo ottenuto dalla combustione di legna di particolari essenze (faggio, quercia ecc.) oppure utilizzando aroma fumo. Nel secondo caso deve essere indicato in etichetta l’utilizzo di aromi.
Queste procedure incidono sul prezzo, perché la lavorazione tradizionale richiede più tempo e può influire sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finito. Se un salmone è stato ottenuto con salatura a secco oppure affumicato con legni particolari, troveremo l’indicazione sull’etichetta. In nessuno dei casi da noi considerati abbiamo trovato l’indicazione relativa all’impiego dell’aroma fumo.
Il prezzo del salmone allevato, convenzionale (non “bio”), considerando confezioni da circa 100 grammi, varia da 20 a 70 euro al chilo con un’eccezione: il Red King a marchio Calvisius, allevato in Nuova Zelanda e lavorato da Agroittica Lombarda (Brescia) costa circa 108 €/kg. Il salmone selvaggio costa intorno a 55-66 €/kg e quello biologico 56-80 €/kg.
Per quanto riguarda i prodotti a marchio bio, il prezzo più elevato si spiega considerando che la produzione è più costosa, inoltre queste confezioni sono di solito più piccole. Come si spiega invece il prezzo del Red King? L’abbiamo chiesto ad Agroittica Lombarda.
“Il nostro salmone appartiene alla specie Oncorhynchus tschawytscha, diversa sia dal classico salmone allevato (Salmo salar), sia dal salmone selvaggio (Oncorhycus nerka). – Spiega Stefano Bottoli, direttore commerciale di Agroittica lombarda – vive nell’Oceano pacifico e la pesca è rigidamente controllata, ma il nostro proviene da allevamenti. È particolarmente pregiato per la consistenza morbida, burrosa, e per il sapore delicato che ne fanno un prodotto molto amato anche nell’alta cucina.”
Anche considerando prodotti “standard” si va da 20 a 70 €/kg e la differenza è importante. Da cosa dipende?
“Il luogo di trasformazione incide in modo importante– fa notare Tepedino –prodotti affumicati in Italia, oppure in Scozia sono più costosi, mentre i più convenienti provengono dalla Lettonia o dalla Polonia, nazioni che non hanno una particolare tradizione su questa produzione, ma in cui i costi di produzione sono inferiori. In questi casi le caratteristiche organolettiche (sapore, consistenza ecc.) possono essere diverse. Poi possono incidere aspetti come la scelta dei filetti migliori e la rifilatura a mano con l’eliminazione di tutte le parti scure, il tipo di salatura, il tipo di legna selezionata ecc.”
Esselunga, per esempio, propone con il proprio marchio un tipo di salmone affumicato scozzese e uno norvegese, allevati e lavorati in questi Paesi. Troviamo poi, nella più economica linea Smart, un salmone allevato in Norvegia e lavorato in Lettonia. Che differenza c’è fra salmone scozzese e norvegese?
“La Scozia ha una tradizione antica per quanto riguarda il salmone affumicato – spiega Tepedino – per questo è rimasta la percezione di una differenza tra i due, pur trattandosi della stessa specie allevata, e considerando che oggi la Norvegia è cresciuta tantissimo anche nella realizzazione di prodotti trasformati come l’affumicato”.
Alcune delle confezioni che abbiamo visto riportano l’indicazione “Salmo salar superior”, a cosa si riferisce?
“Questa indicazione non ha molto senso e a mio parere confonde il consumatore – dice Tepedino – perché indicata in questo modo, accanto alla specie, sembra suggerire che si tratti di un prodotto “superiore” o di una specie particolare. In realtà “superior” è una definizione commerciale tra produttori e distributori per classificare un salmone che non ha difetti, soprattutto di natura esteriore. Dunque non è una informazione che ha senso riportare in etichetta in questo modo. Inoltre aggiungo che per quanto riguarda il salmone di provenienza norvegese è tutto classificato superior perché la Norvegia esporta in Italia esclusivamente salmone che rientra in questa categoria!”
Un’ultima nota riguarda gli aspetti nutrizionali: il salmone è un alimento consigliato per la ricchezza proteica e l’apporto di grassi buoni, comunque ricordiamo che la porzione suggerita è di 50 grammi e che in generale i prodotti affumicati con metodo tradizionale non devono essere consumati molto spesso perché potrebbero contenere, anche se sotto i limiti di legge, residui della combustione. Un altro aspetto da considerare con attenzione è il contenuto di sale, certamente non trascurabile se pensiamo che le linee guida dell’Oms suggeriscono di non superare i 5 g al giorno: in 100 g dei prodotti considerati, questo varia dai 2,27 g del salmone norvegese Sal SeaFood ai 3,7 del prodotto a marchio Aquafood. La quantità di grassi indicata nelle tabelle nutrizionali degli stessi prodotti varia da 2,4 a 14 grammi per 100 grammi, ed è in buona parte legata alla specie di salmone e al metodo di produzione (in particolare pescato o allevato).
“Ognuno può trovare un prodotto adatto al proprio gusto e alle proprie tasche – conclude l’esperta – in ogni caso sarebbe auspicabile in futuro, vista la crescita di questo settore, un sistema di classificazione “istituzionale” e dunque autorevole e trasparente per permettere ai consumatori di distinguere più facilmente i diversi “livelli di qualità” del salmone affumicato per fare dunque scelte più consapevoli.”