È possibile ridurre il sale contenuto nel Parmigiano Reggiano senza perdere nulla né in termini di nutrienti né dal punto di vista organolettico? La domanda è importante, perché nonostante la presenza di molte sostanze benefiche e l’assenza di lattosio, l’elevata quantità di sale impedisce a molte persone di gustare il famoso formaggio. Per rispondervi, le ricercatrici dell’Università di Bologna e dell’Universidad Nacional del Sur (Argentina), coordinate da Silvia Marzocchi, hanno provato a modificare le condizioni di produzione e, in primo luogo, concentrazione di sale e tempi di salatura, e hanno riportato quanto osservato su Food and Science Technology.
Nei disciplinari è previsto che la salatura si svolga seguendo fasi molto specifiche. Come prima cosa, l’impasto è posto in una soluzione salina satura per giorni. Il sale ha un ruolo di primaria importanza, perché la sua presenza assicura che le reazioni chimiche di separazione tra fase solida e fase liquida, l’attività dei batteri coinvolti e il consolidamento del prodotto finale avvengano come atteso. Tra le reazioni enzimatiche indispensabili rese possibili dal sale vi è la lipolisi, cioè la scissione di alcuni degli acidi grassi presenti, che dà origine a una certa quota di acidi grassi liberi, che contribuiscono al gusto e all’aroma e sono indispensabili per formare altre molecole aromatiche, e a diaciltrigliceridi.
Marzocchi e il suo gruppo hanno voluto verificare se, modificando i tempi dell’immersione in salamoia, ci fossero o meno differenze sostanziali nel prodotto finale, rispetto a quanto si vede con il processo normale. A tal fine hanno chiesto a cinque caseifici di salare 16 diverse forme di Parmigiano immergendole in una soluzione salina satura, rispettivamente per il tempo normale (18 giorni) o per un periodo più breve, di 12 giorni. Successivamente hanno lasciato le forme a stagionare per 15 mesi. Alla fine hanno visto che il contenuto di sale era inferiore del 9% nei campioni messi in salamoia per un tempo più breve (1,37% di cloruro di sodio peso su peso) rispetto a quanto ottenuto con la procedura più lunga (1,5%). Un po’ a sorpresa, non hanno trovato differenze nel livello di umidità, colesterolo e grasso totale nei due gruppi di forme. Inoltre, non sono state osservate variazioni significative nei composti responsabili del profilo aromatico, poiché la maggior parte dei 32 acidi grassi liberi associati all’aroma aveva una concentrazione sovrapponibile, nei due gruppi.
Tuttavia, nei formaggi con il tempo di salatura più breve, le concentrazioni totali di acidi grassi liberi e di diacilgliceridi erano rispettivamente del 260% e del 100% più alti rispetto alla versione in salamoia tradizionale, e questo suggerisce che un rapporto sale e umidità più basso causi il rilascio di più acqua dalla pasta. Quest’ultima diventa disponibile per ulteriori reazioni di lipolisi e per un’attività enzimatica più rapida, che abbatte i trigliceridi.
I dati sembrano quindi indicare che non ci siano differenze significative e che anzi, si abbassino anche i trigliceridi. Restano da eseguire i test sensoriali per capire se si percepiscano differenze nel gusto, nella consistenza e nel profumo. Prudente, anche se possibilista, il commento del Consorzio, che spiega a Il Fatto Alimentare: “Il sale non è semplicemente, insieme al latte e al caglio, un ingrediente del formaggio Parmigiano Reggiano, ma ha un significato tecnologico importante: è l’elemento che governa l’equilibrio tra flore batteriche ed enzimatiche del formaggio a latte crudo. Detto questo, produrre Parmigiano Reggiano con meno sale è plausibile, ma non facile né scontato. La percentuale di sale impiegato dipende da molteplici variabili ed è proprio per questo che il Disciplinare di produzione impone solo la salagione ma non fissa alcun limite per la permanenza delle forme nella soluzione satura di acqua e sale. Quest’ultima, peraltro, non rappresenta l’unico fattore per determinare una maggiore o minore concentrazione di sale nel prodotto finito. Tutte queste valutazioni restano affidate, oggi come mille anni fa, alla sensibilità del casaro e alla sua bravura. Il Parmigiano Reggiano è un prodotto artigianale e, in quanto tale, non può avere standard come i formaggi industriali: è questa l’essenza di un prodotto DOP. La “mano” del casaro resta pertanto un elemento fondamentale e insostituibile nella produzione del Parmigiano Reggiano DOP e della sua vera natura artigianale”.
FONTE: IL FATTO ALIMENTARE